In difesa della memoria di Pio XII, auspicando un rinnovamento morale

(Fabrizio Dassano)

Ripercorriamo altre pagine della nostra storia prendendo in esame questa volta l’edizione del 14 aprile del 1966 cominciando dall’attenzione e ancor più dal sostegno assicurato dal Risveglio Popolare a Papa Pacelli, Pio XII.

Per inquadrare l’argomento e sottolinearne l’attualità, ricordiamo che dal 2 marzo 2020 gli storici possono consultare le carte del pontificato di Pio XII negli Archivi Vaticani su ordine di Papa Francesco, perché “la Chiesa non ha paura della storia”, accendendo l’interesse dei ricercatori e degli storici, messo in stand by dal Covid-19. La questione della “leggenda nera” di Pio XII – mirata a sottolineare le sue colpe sul ruolo “tiepido” della Chiesa di Roma sia contro le aberrazioni nazi-fasciste tra gli Anni ’30 e la fine della Seconda Guerra Mondiale, sia contro lo sterminio degli ebrei e anche sull’aiuto nascosto ai gerarchi in fuga dall’Europa nel ’45 – potrebbe finalmente essere all’epilogo.

La “leggenda nera” aveva molte origini: già dal 1939 Papa Pacelli fu attaccato dal filosofo cattolico Emmanuel Mounier, addirittura poche settimane dopo l’elezione al soglio pontificio, a proposito dell’aggressione dell’Italia all’Albania, avvenuta agli inizi di aprile di quell’anno nella presunta assenza di reazioni di condanna da parte del nuovo pontefice. E già nel 1944, dopo il discorso di Natale di Pio XII, il premio Nobel della letteratura Albert Camus si era scatenato contro “l’ambigua apertura” del Pontefice alle democrazie. Poi a dettare la linea fu un celebre commento di Radio Mosca del 7 giugno 1945, che attaccò deliberatamente Pio XII. Nel 1963 l’opera teatrale del drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth, “Il Vicario”, apparve sulla scena berlinese e due anni dopo a Roma (con principale interprete Gian Maria Volontè), ove fu interrotta al debutto dalla Polizia e poi vietata dal Prefetto. Nemmeno la notizia (divulgata nel 2009) di un piano organizzato dal Quartier Generale per la Sicurezza del Reich, a Berlino, per deportare e uccidere Pio XII come rappresaglia all’arresto del duce dopo il 25 luglio 1943, pare sia bastata a portare equilibrio sulla figura di Papa Pacelli.

Molto bisognerà studiare sulle carte vaticane. A riguardo, Papa Francesco ha seguito l’indirizzo di Giovanni Paolo II, che dal 2003 aveva reso disponibili per i ricercatori, i documenti relativi alla Germania durante il pontificato di Pio XI (1922-1939). Nel 2006, infine, Benedetto XVI rese accessibili tutti i documenti del pontificato di Pio XI, che già con la Germania aveva avuto i suoi problemi. I diversi archivi della Santa Sede potranno ospitare nel loro complesso circa 120 ricercatori, che in alcuni casi potranno fruire della digitalizzazione dei documenti e spesso potranno interrogare in formato digitale i nuovi inventari. In Archivio Vaticano (che può ospitare quotidianamente 60 ricercatori) le prenotazioni per la consultazione dei documenti del pontificato di Pio XII erano cominciate dai primi di ottobre del 2019.

Tornando a noi, il Risveglio Popolare del 1966 riportava l’oltraggio alla memoria di Papa Pacelli pronunciato nell’aprile di quell’anno a Vicenza dall’onorevole Luigi Bertoldi del Partito Socialista. L’articolo – firmato da don Piero Bertotti, storico parroco di Chivasso scomparso nel 2013 – non lesinava l’indignazione: “(Bertoldi, ndr) ha definito forcaiolo, reazionario il Papa Pio XII. Sono seguite numerose e vibranti proteste da parte cattolica, da quella del presidente della CEI, card. Urbani a quelle di parecchi enti e associazioni di ogni parte d’Italia”. Ma a scatenare l’arrabbiatura, è stata una successiva “precisazione dell’onorevole Bertoldi apparsa sull’Avanti!”. Il quotidiano socialista “ha tentato di minimizzare l’episodio definendo esagerate le razioni dei cattolici e tornando a riproporre una più marcata contrapposizione tra Pio XII e i pontefici che l’hanno seguito (…) È proprio su questo che non siamo d’accordo (…). Non dovremmo mai dimenticare che i socialisti oggi nostri alleati, giudicano la storia secondo la dottrina marxista”. L’articolo poi contestava agli alleati di governo socialisti di considerare la storia della Chiesa solo con quella di Papa Giovanni XXIII, interpretato alla “maniera marxista” dimenticando la storia millenaria della Chiesa e dei suoi papi: “Per noi cattolici ciò che conta non è questo o quell’atteggiamento di un Papa, ma tutta la Chiesa che sotto Papa Pio o Giovanni o Paolo è sempre la Chiesa di Cristo. È questo tutto che ci sta a cuore; e per questo tutto che noi pretendiamo il rispetto dei compagni socialisti”.

In un altro articolo, sempre della prima pagina del 14 aprile 1966, le riflessioni sul significato della Pasqua sono riassunte nell’articolo di Riccardo Forte dal titolo: “Urge un rinnovamento nazionale e individuale di tutti gli italiani”. Se il Natale avviene “in giorni di consuntivo”, mentre “passiamo a guado tra un anno e l’altro su un cavallo inghirlandato di fiori e di dolci” e “si ripresenta il mito irresistibile e necessario di una nuova vita, …del riprendere tutto dal numero 1”, tutt’altra cosa è la Pasqua: ”Non è la nascita del tenero ed eroico messaggio che ci farà uomini; è la festa del risorgere, con Colui che esce dal sepolcro, di ogni motivo di credere, di ogni motivo di vivere. (…) la dolcezza matura e inimitabile del ritorno, il patto di non lasciarci più”. E ancora: “Siamo al quarto dei dodici mesi del nostro viaggio di ogni anno. Non è tempo di consuntivi, né di preventivi (…) Un’occhiata alla opera che svolgiamo, in mezzo a cui viviamo, al mondo che ci circonda. Strano mondo. E in quale vorticosa evoluzione, e non sempre mirabile”.

Interessante anche il passo successivo sui giovani: “Stiamo per credere, e noi adulti lasciamo talvolta credere per non avere il coraggio o lo scomodo di chiarire l’errore, che ogni forma di autorità, ogni costrizione, ogni disciplina sia di carattere repressivo, innaturale, illiberale; che ogni rinunzia sia ingiusta e inumana e triste; che non esistano sacrifici consentiti, anzi sacrifici necessari e finalmente belli e liberatori. E come si troveranno questi giovani quando batterà alla loro porta il dolore, quello terribile, che non perdona, che sembra distruggere tutto?”. Così era sottotitolato, tra l’altro, l’articolo di Riccardo Forte: “Un breve sguardo al cammino percorso per ripartire più spediti: così deve essere la nostra resurrezione”.

In altra pagina Piero Valesano faceva invece una bella analisi sul futuro turistico della Valle Orco titolando ”Il turismo: ultima speranza di una Valle”. Nativo di Locana (dove scomparve a 81 anni nel 2014) , dapprima insegnante nelle scuole elementari delle frazioni ed in seguito in quella del capoluogo, Valesano fu fino a metà degli anni Novanta direttore del Circolo didattico di Pont e valli. Giovane segretario della locale Democrazia Cristiana, si era occupato dei problemi e delle istanze del paese, insegnante e uomo di cultura si era impegnato per la valorizzazione delle tradizioni valligiane ed era stato promotore dello studio della cultura locale nelle scuole.