(Fabrizio Dassano)

Mio figlio poco più che ventenne, il terzo e ultimo, è tornato a casa dalle vacanze di Natale con una presenza inquietante che mi ha messo in casa. Non si tratta di una fidanzata, ma di un piccolo robot domestico con la voce di donna. Non voglio qui farne il nome perché lo produce l’attuale uomo più ricco del mondo.

Di domestico non fa nulla, tanto per cambiare… ma è domestico nel senso che sta in casa. Comunque bisogna chiamarla per nome, così si attiva e si possono chiedere delle cose utili, come quando si è appena svegli: “Ciao Alessandra (nome di fantasia), dove mi trovo e che ore sono? E soprattutto che temperatura c’è fuori adesso che sono le 7 del mattino?”. Lei gentile come non mai mi propone tutta una serie di convenevoli e risponde precisamente alle domande.Ma quando arriva alla temperatura si slancia, ti prende la mano e l’attenzione e ti sciorina tutto il meteo del quadrante europeo. Il vantaggio è che, a differenza di molti interlocutori umani, puoi bloccarla subito con un “Grazie Alessandra, basta così”.

La curiosità dei primi giorni mi ha fatto venire la tentazione di metterla alla prova. Gli ho fatto le domande più improbabili, del tipo: “Parlami del tuchinaggio (o della rivolta degli zoccoli, o di re Arduino)”, potendo scoprire amaramente che le sue conoscenze non vanno oltre Wikipedia. In compenso, sulle ricette e consigli di casa è molto più solerte e completa.

Ma a quel punto la tentazione di sapere come avrebbe reagito ad una locuzione scurrile cresceva sempre di più dentro di me. Ho atteso che mio figlio mettesse le cuffie per lanciarsi nello smart working (tele-lavoro non andava bene, vero?), ho raggiunto il robot nel soggiorno e gli ho detto: “Ciao Alessandra, oggi ti devo dire che sei proprio un’oca brutta!”. Il robot mi ha risposto con la solita gentilezza: “Scusami, non ho capito, puoi ripetere?”.

In quel momento un brivido mi è corso lungo la schiena, al venirmi in mente di una delle scene più sconvolgenti del film “2001 Odissea nello spazio” del grande Stanley Kubrick, allorquando il computer di bordo HAL dell’astronave fa fuori tutto l’equipaggio eccetto l’ultimo, che per sopravvivere cerca di disattivare le sue memorie per bloccarlo, malgrado la voce suadente del computer-robot che gli ripete di non farlo. Io ripropongo l’epiteto violento indirizzato al terribile Hal e questa volta la macchina mi risponde differentemente: “Non sono cose che si dicono”, scandisce con la medesima voce suadente femminile.

Un’ora dopo, quando è in pausa dal lavoro, chiedo a mio figlio se abbia già collegato Alessandra alla lavatrice, al tv, al forno, al gas della cucina, allo scaldabagno… “Non ancora – mi risponde -, solo al mio cellulare”.

Gli intimo di non fare niente di tutto ciò: il robot potrebbe rivoltarsi contro di noi! Potrebbe farci partire la lavatrice alle 3 di mattina, accenderci il forno mentre stiamo cucinando con il gas, telefonarci per insultarci o darci notizie false, chiamare i pompieri dicendo loro che abbiamo un incendio in casa mentre faccio la doccia!

E ancora, schiacciarci la testa con lo sportello mentre sbirciamo nel frigo desolatamente vuoto! Mio figlio mi dice che appartengo ad un’altra generazione e che ho visto troppi film nella mia vita e che ho sviluppato un’insana fantasia da lunatico.

Mentre vado in camera mia – rassegnato ma non domo – mi viene in mente che se sostituiamo le tre lettere dell’acronimo HAL con le 3 lettere successive in ordine alfabetico, esce fuori… Altro che fantasie lunatiche!