(Fabrizio Dassano)

Che i canavesani siano votati al solo culto alpestre, potrebbe rivelarsi un luogo comune. Abbiamo visto la prima eccezione costituita dal progettista di navi che fu Carlo Vigna di San Giorgio Canavese, eccezione che avrebbe potuto confermare la regola; e invece oggi ci soffermiamo su un secondo personaggio di mare, il canavesano Giacinto Pullino. Era nato a Castellamonte il 24 gennaio 1837 e divenne ingegnere navale e costruttore. Era il figlio di Vittorio e di Carolina dei conti Guarini. Il padre, funzionario governativo in varie località piemontesi, morì nel 1841 lasciando Giacinto orfano a soli 4 anni. Morta anche la madre di lì a poco, il piccolo Giacinto fu lasciato alle cure dello zio Tommaso, stimato professore universitario e medico di corte.

Proprio grazie all’interessamento dei Savoia, fu ammesso prima al collegio delle Provincie e poi alla facoltà di scienze fisiche e matematiche dell’Università di Torino. Nel 1858, all’età di ventuno anni, conseguì la laurea in ingegneria idraulica e architettura civile. Dopo un biennio di docenza presso il collegio dove aveva studiato, saputo di un concorso a due posti per l’ammissione nel corpo degli ingegneri costruttori navali, vi partecipò e lo vinse insieme all’amico di San Giorgio Canavese, Carlo Vigna, di cui abbiamo già trattato sul Risveglio Popolare. Entrò come allievo ingegneri di III classe nel 1862 e l’anno successivo Giacinto fu imbarcato sulla regia nave da 53 cannoni, di I rango a elica, la pirofregata Carlo Alberto, nave costruita in Inghilterra dalla Smith di Newcastle upon Tyne, non esistendo ancora un’industria nazionale.

Promosso sottoingengere di II classe nel 1864 fu professore ai corsi degli allievi ingegneri a Castellammare di Stabia (Na) e dal 1873 al 1880 fu sottodirettore alle costruzioni navali del medesimo cantiere navale. Nel 1881, dopo 5 anni nel ruolo di ingegnere di I classe, fu promosso direttore del Genio navale diventando capo dell’Ufficio tecnico di Livorno e dal 1883 al 1889, direttore delle costruzioni navali all’arsenale della regia marina di La Spezia. Nominato nel 1889 nel ruolo di Ispettore del Genio navale, divenne membro del Consiglio superiore della marina e del Comitato per i disegni di navi.

Intanto nel 1888 la Francia, in concorrenza nel Mediterraneo con il giovane regno d’Italia, aveva varato a Tolone il “Gymnote”. Era il primo sommergibile lanciasiluri operativo in Francia e nel mondo. Malgrado fosse avvenuto in gran segreto, la notizia arrivò anche ai servizi d’informazione italiani.

Il ministro della marina italiana, il torinese Benedetto Brin, molto preoccupato, stanziò 300.000 lire per la risposta italiana. Nel 1890 furono incaricati Giacomo Pullino insieme a Carlo Vigna (divenuto nel frattempo cognato) e Cesare Laurenti – il futuro progettista di punta dei sommergibili italiani. Il primo sommergibile italiano da 102 tonnellate completato in gran segreto tra il 1890 e il 1892 all’arsenale di La Spezia fu varato e consegnato alla regia marina nel 1895. Lo scafo del Delfino – questo il suo nome, era di tipo semplice, a sezioni circolari – era affusolato e di forma simile più a quella di un odierno sottomarino, fatto per operare sempre in immersione e spinto da un motore elettrico da 46 kw delle officine Savigliano. Ma le batterie elettriche dei tempi e la scorta di ossigeno per l’equipaggio, non permettevano una lunga permanenza a bordo e quasi nessun impiego operativo se non di prossimità. La parte superiore dello scafo era munita di una corazza d’acciaio spessa cinque centimetri, mentre la torretta di bronzo, aveva uno spessore di 15 cm, con alcune aperture protette da spessi cristalli.

Così la regia marina decise di ricoverarlo in un capannone dell’arsenale spezzino. Ci si ricordò di lui nel 1901 quando l’ammiraglio Morin affidò al progettista superstite del trio, Cesare Laurenti, di riconvertirlo in sommergibile adeguandolo ai tempi con un motore a scoppio Fiat a 6 cilindri per la navigazione di superficie e di uno elettrico potenziato per la navigazione sottomarina. Con lo scoppio della I guerra mondiale fu messo in servizio alla difesa della laguna di Venezia ed effettuò 44 missioni di agguato nella laguna a protezione di Venezia.
Rimase in servizio fino al 1918 e demolito nel 1919.

Giacinto Pullino fu deputato alla Camera per il collegio di Cuorgnè (Torino) nella XVIII legislatura. Morì a Baldissero Canavese il 16 agosto 1898. Ma la storia del suo nome non finisce qui. Il 2 giugno 1912 veniva impostato il regio sommergibile “Pulli-no” in suo onore e ricordo e consegnato alla regia marina il 12 dicembre 1913, a doppio scafo, poteva immergersi fino a 50 metri sotto il livello del mare e pesava in immersione 405 tonnellate, lungo oltre i 42 metri, aveva un motore da 730 Hp per l’emersione e uno elettrico da 520 Hp per l’immersione. Era armato da sei siluri e portava 21 uomini d’equipaggio.

Allo scoppio della I guerra mondiale il battello giunse a Venezia, da dove svolse numerose missioni offensive nelle acque delle basi austriache nell’Alto Adriatico. Davanti a Fiume il 4 giugno 1916 attaccò due piroscafi austriaci: il “San Marco” e il “Nasazza”. Il primo era un bersaglio difficile, perché si presentava di poppa e, quindi, offriva una sagoma ristretta. Ciò nonostante, il lancio risultò precisissimo: il siluro fracassò l’elica del piroscafo ma non esplose.

Nel lancio contro il “Nasazza”, un piroscafo di modesto pescaggio, il siluro passò sotto lo scafo senza fare alcun danno.

Ma la missione più sfortunata, che avrebbe avuto un’eco enorme non solo in Italia, fu la 32ª ed ultima: alle 10 del mattino del 30 luglio 1916 il battello lasciò Venezia con l’ordine di portarsi davanti a Fiume e lanciare quattro siluri attraverso l’imboccatura di quel porto, per colpire eventuali navi ormeggiate al suo interno o, quanto meno, danneggiare moli e banchine. L’azione voleva essere soprattutto dimostrativa, per produrre gli effetti psicologici di violabilità nell’avversario. La rotta di avvicinamento prevedeva di passare al largo di Capo Promontore (la punta sud della penisola istriana) e di risalire in modo occulto il Quarnaro e il Canale della Faresina; lo scoglio della Galiola, che si trova pressappoco al centro dell’imboccatura del Quarnaro, deve essere lasciato sulla sinistra.

In quelle acque difficili, la regia Marina italiana utilizza piloti locali fuggiti in Italia. Sul “Pullino” è imbarcato il signor Nazario Sauro, un esperto capitano di lungo corso istriano, che nutre fortissimo il sentimento di italianità e che, allo scoppio delle ostilità fra Italia ed Austria, non ha esitato ad offrirsi volontario alla Marina italiana, nella quale è stato arruolato con il grado di Tenente di Vascello di Complemento. Nonostante la sua perizia dimostrata nelle precedenti azioni e tutta l’attenzione del comandante Degli Uberti, poco dopo la mezzanotte fra il 30 e il 31, in una notte buia e fosca, con tempo cattivo e in presenza di correnti che inficiano ogni stima nella navigazione, il sommergibile Pullino va ad incagliarsi su un basso fondale dello scoglio della Galiola. Ogni tentativo per disincagliarlo, alleggerendolo e usando la forza dei motori, è vano; e la situazione va man mano peggiorando, perché la marea è in calo.

Senza speranza, sabotando le apparecchiature e lanciando i piccioni viaggiatori, abbandonano il battello. Suddito austriaco, Nazario su una barchetta e remi si separa dal resto dell’equipaggio prendendo la via del mare. Giunge la torpediniera austriaca “Satellit” che lo cattura. Sbarcati a Pola, Nazario è riconosciuto e impiccato il 10 agosto 1916 come traditore.

Il 1° agosto il Pullino viene disincagliato dai mezzi della Marina austriaca; ma, per i danni subiti, il battello affonda mentre viene rimorchiato verso Pola. Sarà recuperato dalla Marina italiana nel 1929 e poi demolito nel 1931. La torretta del sommergibile venne trasportata a Capodistria e, nel 1932, fu sistemata nel cortile interno del Ginnasio-Liceo Carlo Combi frequentato da Nazario Sauro.

In seguito all’occupazione titina dell’Istria, alla fine della II guerra mondiale, il monumento venne sfregiato e nel 1952, distrutto.