(Editoriale di Carlo Maria Zorzi)

I drammi che si consumano nell’Est della Repubblica Democra-tica del Congo, dalle parti di Goma, richiamano alla mia mente tanti pensieri degli anni vissuti laggiù. Qualche mese fa la tragica morte dell’ambasciatore italiano, del suo agente di scorta e dell’autista, oggi il risveglio del Nyiragongo, il vulcano solo addormentato e sempre pronto a riprendersi la scena con la sua dose di distruzione, morti e sfollati.

Dal suo sonno si è svegliato sabato notte, e anch’io ho risvegliato i miei ricordi al tempestivo messaggio whatsapp di un ex collega. “Il vecchio Nyiragongo ha ripreso l’attività – mi ha scritto –, e non posso pensare a qualche anno fa quando tu bruciasti le tue scarpe”.

L’ultima eruzione fu nel 2002, lui ed io eravamo là. Portavo sempre gli scarponi, e la suola si fuse mentre cercavo di raggiungere il villaggio di Munigi, a pochi chilometri a nord di Goma, risparmiato dalla lava ma intrappolato. La colata si era divisa scendendo da nord all’ingresso del villaggio, lo aveva circondato a destra e a sinistra e si era richiusa a valle. Finita l’eruzione, era importante tracciare un percorso per portare gli aiuti ed evacuare chi aveva bisogno di cure e soccorsi; dare notizie di chi stava dentro alla trappola e chi fuori; far sapere che nessuno doveva essere dimenticato e lasciato solo a sbrogliarsela in quella catastrofe.

In centro a Goma, all’indomani di quella colata, si camminava all’altezza dei tetti a terrazza delle case, per lo più a un piano, in basso i negozi e sopra gli alloggi. La lava era entrata in città per le strade, invadendo i locali, e coprendo le case fino ai primi piani.

Da lì era ripartita la ricostruzione della città “sopraelevata”.

A raccontare l’eruzione del 2002, quasi venti anni fa, non c’erano i social che rendono tutto più vicino, spettacolarizzato, immediato e per questo più dimenticabile, perché i social si nutrono di novità. Senza novità sono senza linfa e noi, purtroppo, con loro e come loro: dimentichiamo.