(Michele Curnis)

Gli anonimi redattori del Risveglio Popolare furono molto deferenti e ossequiosi nei confronti dei relatori delle conferenze dantesche che si svolsero a Ivrea nel corso del 1921. Eccetto in un caso, in cui un collaboratore del giornale espresse molte perplessità sulla conferenza del 6 Marzo, a carico di Gaudenzio Man-fredi, allora professore di lettere italiane presso il Regio Liceo-Ginnasio “Carlo Botta”.

Nella colonna Letture Dantesche del 10 Marzo si legge infatti questo resoconto: «Interessante era il tema scelto dal Prof. Manfredi per la lettura di domenica scorsa, Modernità di pensiero politico in Dante e l’interesse era accresciuto dalle indiscrezioni, che preannunziavano, nientemeno, che una giornata di propaganda comunista. Nulla di tutto questo. | La conferenza si ridusse a una esposizione quasi organica del pensiero politico in Dante, prendendo per guida soprattutto il “De Monarchia”. | Alla esposizione fece seguito una breve disamina, (forse troppo breve se si considera il tema della lettura), di quanto è vivo ancora, secondo l’oratore, dell’ideale politico dantesco. | Ci spiace di non potere in tutto consentire con l’egregio conferenziere, perchè se è vero che di alcune idee caratteristiche si informa tutta la politica moderna, non è altrettanto vero che ne sia Dante un propugnatore. | Dante propugna lo stato laico? Non pare, se pensiamo che lo stesso impero romano doveva avere, nella concezione dantesca, non una funzione temporale soltanto, ma anche uno scopo di mezzo per la diffusione ed il trionfo del cristianesimo. | Dante propugna una sovranità popolare? Possiamo anche abbondare ed ammetterlo: ma dobbiamo osservare che Egli faceva derivare l’autorità da Dio, mentre i moderni cercano altrove il fondamento di quella autorità che ammettono ancora, ma a parole soltanto. | Fu Dante un internazionalista? Sì, ma senza distruggere nessuna delle unità etniche, politiche esistenti, devolvendo soltanto all’arbitrato di una autorità suprema le questioni che potevano sorgere e turbare la pace. | Questo ci piace di rilevare pur constatando l’esito lusinghiero della conferenza, detta con calore ed accolta con un applauso nutrito al suo termine».

Risulta alquanto evidente il generale disappunto destato dalla conferenza, che il giornalista cerca di velare con una dignitosa cortesia e riconoscendo, alla fine, la buona accoglienza dell’intervento. Svanito il pericolo della “propaganda comunista”, il recensore confuta il tentativo di attualizzare il pensiero politico di Dante in chiave socialista, e lo fa con argomenti sintetici ma efficaci. D’altra parte, Gaudenzio Manfredi – al pari di tutti gli altri relatori del ciclo di conferenze eporediesi – non era certo uno sprovveduto: l’editore Viassone pubblicò il suo intervento quello stesso anno in forma di opuscolo, e poi lo incluse nel volume celebrativo del 1923.

Tale riconoscimento permette, a cento anni di distanza, di comparare il testo originale della conferenza con il severo giudizio del Risveglio Popolare. Inoltre, a Ivrea Manfredi avrebbe pubblicato altri due studi: le Note di letteratura popolare (E. Maz-zone, 1923) e il Contributo alla biografia del Casti, da documenti inediti (ancora per i tipi di Viassone, 1925). La ricerca sul poeta Giambattista Casti (1724-1803) fu considerata da Salvatore Nigro nel Dizionario Biografico degli Italiani (1979) come «la biografia più completa» del personaggio; questo implica che il nome del professore di Ivrea sia sempre menzionato nelle bibliografie specifiche su Casti.

Come riportato dal redattore del Risveglio Popolare, la conferenza dantesca di Man-fredi è suddivisa in tre parti: nella prima redige un riassunto puntuale della Monarchia; nella seconda ripercorre le riflessioni politiche all’interno della Commedia, e nella terza si impegna per attualizzare il pensiero di Dante alle idee del Novecento. Molto corretto nel riportare le fonti della propria compilazione, Manfredi si basa soprattutto sul libro di Isidoro Del Lungo, Dal secolo e dal poema di Dante (Zanichelli, Bologna 1898), senza aggiungere considerazioni originali.

Di tale mancanza soffre soprattutto la sezione centrale, che richiederebbe una serie di integrazioni interpretative, e che invece è ridotta a un elenco di citazioni, a loro volta desunte dalla sintesi storico-biografica di Del Lungo. Del resto, non è il regesto filologico dei dati testuali a interessare l’autore, che nella introduzione della parte finale si chiede polemicamente: «E da tutta questa anticaglia, avviluppata tra i procedimenti usati ed abusati della scolastica, può spirare un soffio di modernità?» La risposta è positiva, ma solo perché Dante – a detta di Manfredi – «Un’altra poderosa rivoluzione ha imposto, superiore al titolo della grazia divina, nella sovranità, il titolo della volontà popolare». Tale enfatica asserzione, più che corroborata da argomenti, serve ad avvicinare Dante a Mazzini, che evidentemente costituisce per Manfredi il culmine del pensiero politico italiano. «Dante, invece di chiudersi nell’angusto cerchio della cristianità, allarga l’orizzonte del suo ordinamento a tutto l’uman genere, senza esclusioni preconcette, senza preoccupazioni dogmatiche. […] Non ha grettezze bigotte ed è addirittura un rivoluzionario costui, che così parla a un dipresso all’uomo: – Tu devi cercare la felicità anche su questa terra, non solo nel cielo!»

Indubbiamente, la felicità aristotelica e laica costituisce un obbiettivo importante del Convivio, sebbene si tratti di una fase del pensiero politico poi superata sia dal Paradiso sia dalla Monarchia. Anzi, il seguito del ragionamento di Manfredi riesce difficile da condividere, proprio perché lo studioso completa un’argomentazione della Monarchia ricorrendo all’altro trattato, scritto diversi anni prima e basato su presupposti culturali del tutto distinti.

«L’autore della Divina Commedia e della Monarchia è un vero precursore d’internazionalismo. Se il Segretario Fiorentino fu il primo apostolo dell’unità e indipendenza italiana, l’Esule Fiorentino fu il primo apostolo della federazione universale dei popoli». Con paralleli anacronistici e storicamente poco probanti come questo, si può comprendere il fastidio provato dal cronista che scriveva per l’organo del Partito Popolare; anche nelle singole scelte lessicali sembra annidarsi la volontà di stuzzicare la pazienza dei moderati (basti l’allusione a Machiavelli come a un “apostolo”). Nep-pure va dimenticato che la conferenza fu pronunciata agli inizi di Marzo, e che nel Maggio del 1921 si svolsero le elezioni politiche nazionali: le parole di Manfredi potevano risuonare come un’esplicita propaganda per il Partito Socialista, e il Risveglio aveva l’obbligo di riparare.

L’intervento si chiude con una lunghissima citazione, estesa per più di due pagine, di Ralph Norman Angell-Lane (1872-1964), celebre autore del libro antimilitarista e liberista La grande illusione (The Great Illusion, 1909, tradotto in pochi anni in venticinque lingue e con tirature elevatissime. Angell-Lane fu poi Premio Nobel per la pace nel 1933). Manfredi ricorre a quel libro, perché in esso il pubblicista inglese prefigura lo scenario che sarebbe sfociato nel disastro della Prima Guerra Mondiale. A onor del vero, la connessione con il pensiero di Dante è abbastanza labile, ma la citazione di Angell-Lane rende ragione della vera urgenza italiana del 1921: al trauma del conflitto, in buona parte ancora da superare, si aggiungeva la preoccupazione per una situazione parlamentare convulsa e instabile. Per tutto questo, è quasi profetico il tono con cui Manfredi chiude la conferenza, congiungendo al nome di Dante valori che nella sua opera trovano un riscontro soltanto generico: il «Divin poeta […] con occhi chiari guardò ai termini dell’ascesa umana: solidarietà internazionale e pace sociale. Quando avverrà questa grande rivoluzione degli spiriti, secondando la già avvenuta rivoluzione dell’economia?»

Riletto oggi, il testo di Manfredi si presenta suddiviso in due momenti, poco comunicanti tra loro: al riassunto (interessato) del pensiero di Dante segue un auspicio per il futuro prossimo, basato sulle idee di Mazzini, dell’Internazionale socialista e del liberismo antimilitarista. Totalmente assente è il metodo di indagine storico-critica, che pure Manfredi avrebbe saputo applicare, come fece in altri scritti. Dall’altra parte, la reazione piccata del Risveglio Popolare tradisce un’analoga preoccupazione per il successo delle idee menzionate dal professore del Liceo “Botta”.

Lontano da Dante, insomma, l’interesse comune più urgente – e con buona ragione – era la politica italiana di quegli stessi anni, con il suo futuro quanto mai incerto.

Nella foto: A sinistra, il filologo Isidoro Del Lungo; a destra, il politologo Ralph Norman Angell-Lane. Sono le due principali fonti che Gaudenzio Manfredi utilizza per la conferenza sul pensiero politico di Dante, pronunciata a Ivrea il 6 Marzo 1921. Curiosamente, appoggiando la tesi di pace universale di Angell-Lane, Manfredi ricorre anche ai saggi danteschi di Del Lungo, che nel 1915 aveva sostenuto l’ingresso dell’Italia in guerra