(elisa moro) – Un esempio di Vescovo e pastore zelante, conterraneo e contemporaneo di tanti Santi che hanno costellato il XIX secolo in Piemonte, quello presentato nel secondo incontro dell’Oratorio da Mons. Edoardo Cerrato, nella serata di lunedì 28 novembre.

Dopo “il padre nella fede”, Sant’Eusebio di Vercelli, evangelizzatore del Piemonte, fermo difensore della vera dottrina fino all’esilio, ecco una nuova figura di Santo Pastore locale: il Beato Edoardo Giuseppe Rosaz, Vescovo di Susa, di cui ricorre il 31° anniversario di Beatificazione, avvenuta il 14 luglio 1991.

Mons. Edoardo, tratteggiandone le caratteristiche salienti, ha spiegato l’importanza spirituale e propria della pedagogia di San Filippo Neri, di individuare figure di Santi, soprattutto negli incontri dell’Oratorio, come modelli e come esempi nella vita di fede: “la storia della santità è il prolungamento della storia della salvezza, nello scorrere stesso della loro vita, in una concreta e unica situazione in cui hanno operato quotidianamente”; e ancora: “ogni Santo è quindi se stesso, con il suo carattere e il suo temperamento, ma la Grazia è per tutti; solo aprendosi ad essa ci si lascia trasformare da Cristo, che è lievito della nuova umanità”.

Guardando ai Santi, infatti, si coglie il Vangelo incarnato, vissuto, o, per meglio dire con San Francesco di Sales:

“tra il libro del Vangelo e i santi c’è tutta la differenza che corre tra la musica scritta e la musica cantata”.

Soffermandosi sul contesto del XIX secolo e sul complesso periodo napoleonico, che ha visto devastazioni sul piano economico e sociale, ma anche culturale e artistico, la soppressione degli ordini religiosi, e lo stesso Papa Pio VII prigioniero, costretto a firmare documenti ingiusti, come ricorda un’ode ottocentesca citata dal Vescovo:

“in tale orror di tempesta/ infranti ha (la nave di Pietro) gli arbor suoi/ le vele ha rotte/ ogni nocchier si turba… Il mar la inghiotte… Solo il gran Pio in cuor suo non sbigottito”.

Barnaba Chiaramonti, questo il nome di Pio VII, benedettino, eletto nel Conclave di Venezia il 14 marzo 1800 in una situazione di “tempesta”, visse, dal 1808 al 1814 un lungo e travagliato periodo di prigionia, mitigato, tuttavia, dalle grandi dimostrazioni di affetto che le popolazioni delle città attraversate gli riservarono.

Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo, si tentò di tornare all’Ancien Regime, anche se molte opere d’arte erano andate completamente perdute, senza contare le trasformazioni delle concezioni politiche, che influenzarono i governi risorgimentali successivi: “fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”, come ricorda il Manzoni nella celeberrima poesia.

Nello Stato Sabaudo, dopo il 1815, ritornò Re Vittorio Emanuele I – come si può leggere nella facciata della Chiesa della Gran Madre a Torino – ma la conta dei danni fu enorme: la popolazione della sola città di Torino era notevolmente diminuita e ben 95.000 giovani del regno erano stati arruolati forzatamente e mandati della rovinosa campagna di Russia del 1812, senza considerare i beni persi, tra cui la stessa statua in argento della Consolata, fusa dalle truppe francesi.

Nato in questo contesto, il 15 febbraio 1830 a Susa, il giovane Edoardo Giuseppe Rosaz si distinse “per il crescente amore verso Dio, il grande slancio missionario ma la salute altamente precaria, al punto che proprio l’offerta di questa croce produsse frutti autentici e abbondanti nell’apostolato”. Penultimo di sette figli, ricevette una forte educazione cristiana ma “non poté frequentare la scuola a causa della sua cagionevole salute”.

Dopo non poche difficoltà e contando sulla grande stima del suo Vescovo, Mons. Antonio Odone, che lo aveva nominato canonico di Susa nonostante fosse ancora chierico, ricevette l’ordinazione sacerdotale a Nizza e qui sintetizzò il suo programma di vita, a cui non venne mai meno:

“procurare in tutti i modi il bene del popolo; gravarsi di lavoro senza badare a disagi; compiere con gioia ciò che può essere utile al bene spirituale e materiale dei fedeli; coadiuvare con zelo e disinteresse i sacerdoti nella cura delle anime; non trascurare nessuna forma di apostolato”.

Valente predicatore, instancabile confessore, cappellano delle carceri, “aiutò con mezzi propri benché egli stesso non avesse nulla; confidente di Don Bosco”; nel 1878 Papa Pio IX lo nominò Vescovo di Susa, anche se tentò di sviare la scelta, adducendo di “di non essere idoneo per la nullità del suo ingegno e la pochezza della sua scienza, e la sua assoluta incapacità di amministrare una diocesi”.

Guidò la Diocesi per 25 anni, fino alle morte, avvenuta nel 1903, “incentrando la sua attività pastorale soprattutto sulla formazione catechetica, sulla predicazione, sulla confessione e sulle frequenti visite pastorali alle 61 parrocchie, spesso spostandosi a piedi o con il mulo”.

Ecco il ritratto di un luminoso pastore che instancabilmente si è speso per il suo gregge, ricordando che, parafrasando le parole di San John Henry Newman si è “creati per agire”, Dio “affida a ciascuno un lavoro che non ha affidato a nessun altro”.

I Santi e i Beati, come ha ricordato il Mons. Edoardo, ricordando l’omelia di San Giovanni Paolo II in occasione della Beatificazione del Rosaz, “mostrano alla Chiesa sulla terra il legame che la congiunge al mistero della Comunione dei santi, e nello stesso tempo indicano la via alla santità, alla quale tutti siamo chiamati.

Monsignor Rosaz si sentì un chiamato, un evangelizzatore, un apostolo di Dio che è Amore.

Avvertì come sua missione quella di cooperare al piano divino di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra (Ef 1, 10).

Rispose alle attese dei fratelli, soprattutto dei poveri, con la carità del cuore di Cristo, senza retorica, in modo concreto, pagando di persona.

Si fece pellegrino, questuante con lo spirito del sacerdote e del Vescovo umile, gioioso e fiducioso nella Provvidenza…

Il cristiano deve percorrere questa strada.

Egli sa che non può appesantirsi di beni superflui, ma che deve andare all’essenziale, come Monsignor Rosaz.

Per raggiungere le cime della santità occorre passare nei contrafforti della carità arrendendosi dinanzi alle difficoltà” fiducioso del fatto che alla fine Dio ricompensi come nei tanti striscioni di benvenuto rivolti al Papa, o piuttosto Dio ricompensa sempre chi si lascia trasformare da Lui”.

(elisa moro) – Un esempio di Vescovo e pastore zelante, conterraneo e contemporaneo di tanti Santi che hanno costellato il XIX secolo in Piemonte, quello presentato nel secondo incontro dell’Oratorio da Mons. Edoardo Cerrato, nella serata di lunedì 28 novembre.

Dopo “il padre nella fede”, Sant’Eusebio di Vercelli, evangelizzatore del Piemonte, fermo difensore della vera dottrina fino all’esilio, ecco una nuova figura di Santo Pastore locale: il Beato Edoardo Giuseppe Rosaz, Vescovo di Susa, di cui ricorre il 31° anniversario di Beatificazione, avvenuta il 14 luglio 1991.

Mons. Edoardo, tratteggiandone le caratteristiche salienti, ha spiegato l’importanza spirituale e propria della pedagogia di San Filippo Neri, di individuare figure di Santi, soprattutto negli incontri dell’Oratorio, come modelli e come esempi nella vita di fede: “la storia della santità è il prolungamento della storia della salvezza, nello scorrere stesso della loro vita, in una concreta e unica situazione in cui hanno operato quotidianamente”; e ancora: “ogni Santo è quindi se stesso, con il suo carattere e il suo temperamento, ma la Grazia è per tutti; solo aprendosi ad essa ci si lascia trasformare da Cristo, che è lievito della nuova umanità”.

Guardando ai Santi, infatti, si coglie il Vangelo incarnato, vissuto, o, per meglio dire con San Francesco di Sales:

“tra il libro del Vangelo e i santi c’è tutta la differenza che corre tra la musica scritta e la musica cantata”.

Soffermandosi sul contesto del XIX secolo e sul complesso periodo napoleonico, che ha visto devastazioni sul piano economico e sociale, ma anche culturale e artistico, la soppressione degli ordini religiosi, e lo stesso Papa Pio VII prigioniero, costretto a firmare documenti ingiusti, come ricorda un’ode ottocentesca citata dal Vescovo:

“in tale orror di tempesta/ infranti ha (la nave di Pietro) gli arbor suoi/ le vele ha rotte/ ogni nocchier si turba… Il mar la inghiotte… Solo il gran Pio in cuor suo non sbigottito”.

Barnaba Chiaramonti, questo il nome di Pio VII, benedettino, eletto nel Conclave di Venezia il 14 marzo 1800 in una situazione di “tempesta”, visse, dal 1808 al 1814 un lungo e travagliato periodo di prigionia, mitigato, tuttavia, dalle grandi dimostrazioni di affetto che le popolazioni delle città attraversate gli riservarono.

Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo, si tentò di tornare all’Ancien Regime, anche se molte opere d’arte erano andate completamente perdute, senza contare le trasformazioni delle concezioni politiche, che influenzarono i governi risorgimentali successivi: “fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”, come ricorda il Manzoni nella celeberrima poesia.

Nello Stato Sabaudo, dopo il 1815, ritornò Re Vittorio Emanuele I – come si può leggere nella facciata della Chiesa della Gran Madre a Torino – ma la conta dei danni fu enorme: la popolazione della sola città di Torino era notevolmente diminuita e ben 95.000 giovani del regno erano stati arruolati forzatamente e mandati della rovinosa campagna di Russia del 1812, senza considerare i beni persi, tra cui la stessa statua in argento della Consolata, fusa dalle truppe francesi.

Nato in questo contesto, il 15 febbraio 1830 a Susa, il giovane Edoardo Giuseppe Rosaz si distinse “per il crescente amore verso Dio, il grande slancio missionario ma la salute altamente precaria, al punto che proprio l’offerta di questa croce produsse frutti autentici e abbondanti nell’apostolato”. Penultimo di sette figli, ricevette una forte educazione cristiana ma “non poté frequentare la scuola a causa della sua cagionevole salute”.

Dopo non poche difficoltà e contando sulla grande stima del suo Vescovo, Mons. Antonio Odone, che lo aveva nominato canonico di Susa nonostante fosse ancora chierico, ricevette l’ordinazione sacerdotale a Nizza e qui sintetizzò il suo programma di vita, a cui non venne mai meno:

“procurare in tutti i modi il bene del popolo; gravarsi di lavoro senza badare a disagi; compiere con gioia ciò che può essere utile al bene spirituale e materiale dei fedeli; coadiuvare con zelo e disinteresse i sacerdoti nella cura delle anime; non trascurare nessuna forma di apostolato”.

Valente predicatore, instancabile confessore, cappellano delle carceri, “aiutò con mezzi propri benché egli stesso non avesse nulla; confidente di Don Bosco”; nel 1878 Papa Pio IX lo nominò Vescovo di Susa, anche se tentò di sviare la scelta, adducendo di “di non essere idoneo per la nullità del suo ingegno e la pochezza della sua scienza, e la sua assoluta incapacità di amministrare una diocesi”.

Guidò la Diocesi per 25 anni, fino alle morte, avvenuta nel 1903, “incentrando la sua attività pastorale soprattutto sulla formazione catechetica, sulla predicazione, sulla confessione e sulle frequenti visite pastorali alle 61 parrocchie, spesso spostandosi a piedi o con il mulo”.

Ecco il ritratto di un luminoso pastore che instancabilmente si è speso per il suo gregge, ricordando che, parafrasando le parole di San John Henry Newman si è “creati per agire”, Dio “affida a ciascuno un lavoro che non ha affidato a nessun altro”.

I Santi e i Beati, come ha ricordato il Mons. Edoardo, ricordando l’omelia di San Giovanni Paolo II in occasione della Beatificazione del Rosaz, “mostrano alla Chiesa sulla terra il legame che la congiunge al mistero della Comunione dei santi, e nello stesso tempo indicano la via alla santità, alla quale tutti siamo chiamati.

Monsignor Rosaz si sentì un chiamato, un evangelizzatore, un apostolo di Dio che è Amore.

Avvertì come sua missione quella di cooperare al piano divino di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra (Ef 1, 10).

Rispose alle attese dei fratelli, soprattutto dei poveri, con la carità del cuore di Cristo, senza retorica, in modo concreto, pagando di persona.

Si fece pellegrino, questuante con lo spirito del sacerdote e del Vescovo umile, gioioso e fiducioso nella Provvidenza…

Il cristiano deve percorrere questa strada.

Egli sa che non può appesantirsi di beni superflui, ma che deve andare all’essenziale, come Monsignor Rosaz.

Per raggiungere le cime della santità occorre passare nei contrafforti della carità arrendendosi dinanzi alle difficoltà” fiducioso del fatto che alla fine Dio ricompensi come nei tanti striscioni di benvenuto rivolti al Papa, o piuttosto Dio ricompensa sempre chi si lascia trasformare da Lui”.