Nei giorni scorsi la Caritas italiana ha pubblicato il suo 21° Report sullo stato della povertà nel nostro Paese con il titolo “L’anello debole”.

Ma come vive questo momento la Caritas diocesana?

Come vengono letti, interpretati i Rapporti che escono dagli uffici nazionali?

Che stimolo danno al lavoro quotidiano di tanti volontari?

Abbiamo chiesto al direttore della Caritas diocesana di Ivrea, il diacono Emiliano Ricci, una sua riflessione che, ovviamente, parte dall’esperienza quotidiana di contatto e di assistenza alle tante povertà che ci circondano.

c.m.z.

Il messaggio del cardinal Zuppi a commento del Rapporto della Caritas nazionale mette in evidenza tutte le realtà delle Caritas, ma bisogna tenere conto delle varianti, a volte notevoli, tra le grandi città, i cui dati pesano non poco, e le piccole realtà come la nostra. La situazione della povertà sul nostro territorio può talora differire, talvolta di non poco, da quanto veniamo a sapere da altre Caritas nel Piemonte e dal rapporto della Caritas Italiana.

Il fatto è che le singole realtà locali sono profondamente condizionate dal territorio e dalla sua composizione, dalle caratteristiche della diocesi, dalla struttura sociale e soprattutto da come funzionano gli enti, sopratutto pubblici, deputati a risolvere i problemi sociali.

A questo punto ripeterò una mia convinzione: se tutti gli enti suddetti, soprattutto pubblici, funzionassero a dovere, la Caritas non dovrebbe neppure esistere, perché non ce ne sarebbe bisogno! Invece è vero il contrario: c’è bisogno assoluto della Caritas perché diversi enti pubblici si rivolgono proprio alla Caritas per la soluzione di problemi sociali che loro non riescono a risolvere.

Meno male che ci siete voi!”, ci dicono.

L’accesso ai servizi Caritas è basato, ovviamente, sul valore del reddito famigliare: la soglia da non superare è di 6mila euro annui. Questo reddito consente di avere alimenti dal Banco alimentare per ogni persona del nucleo.

Onestamente dobbiamo considerare che le borse di cibo non sarebbero sufficienti a coprire il fabbisogno per colazione, pranzo e cena; a rendere la situazione più sostenibile è la considerazione che riusciamo a dare una mano a pagare le bollette energetiche e a contribuire alle spese sanitarie, oltre all’attività di distribuzione gratuita di indumenti e all’apertura quasi quotidiana delle porte della mensa per i senza fissa dimora (a beneficio dei quali tra non molto riapriremo anche il dormitorio).

Il più grosso problema è la casa.

Come Caritas eporediese abbiamo a disposizione 6 alloggi per famiglie, 4 minialloggi per donne con bambini, 4 posti letto per uomini soli, 3 posti letto a disposizione dell’Associazione Volontari Penitenziari per i detenuti della Casa Circondariale.

Queste ospitalità sono gestite in regime di “Emergenza Abitativa Temporanea” ma, dall’inizio della pandemia, i nostri ospiti sono ancora presenti nonostante la temporaneità sia di un anno per le famiglie e sei mesi per gli altri.

Ad oggi, tranne per la casa per la quale devono agire gli Enti pubblici, riusciamo a far fronte alle necessità richiesteci.

Potremmo fare di più?

Certamente, se avessimo adeguate risorse, soprattutto finanziarie.

È assolutamente vero che vi sono numerosi casi di famiglie che continuano a richiedere aiuti, ma, onestamente, dobbiamo riconoscere che non vi sono altre soluzioni se non quelle di continuare ad intervenire, perché si tratta di persone di una certa età, sovente affrante da problemi di salute, senza vere opportunità di lavoro; oppure di stranieri con ancora varie difficoltà di integrazione dovute a fattori diversi.

La parte finale dell’art.1 dello Statuto della Caritas Italiana recita che il suo operato deve esplicitarsi “ …in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica”.

Questo è uno dei più grandi problemi: come formare-educare gli utenti Caritas all’uso corretto dei mezzi di sussistenza che vengono consegnati? come formare al non spreco? come educare all’uso corretto dei farmaci? come educare per una corretta alimentazione? come affrontare i problemi inerenti agli enti pubblici?

E altro ancora andrebbe esaminato sotto questo profilo.

La realtà della Caritas Eporediese e di tutte le 14 Caritas Parrocchiali è tale che non esistono casi così drammatici da non riuscire a gestire perché, sia pure con grandi difficoltà, riusciamo a far fronte a tutte le richieste di aiuto anche per quanto riguarda la scuola.

Tutti gli operatori nelle Caritas, solo volontari, sono particolarmente sensibili alle richieste di aiuto: nessuno viene scartato anche se, ciò che è umanamente comprensibile, ognuno vorrebbe di più.

I quasi 200 volontari (ad Ivrea oltre 70) sono impegnati settimanalmente con vero spirito cristiano a sostenere coloro che il Cardinale Zuppi, indica come “poveri Cristi”, con veramente tanta pazienza, serenità, disponibilità e comprensione.

Diacono Emiliano Ricci – Direttore Caritas Diocesana

Redazione Web