Ad Assisi, tra le altre memorie di San Francesco, è conservato il suo saio.

La restauratrice che è intervenuta su di esso (la stessa che ha lavorato sulla Sindone) ha contato ben 31 grosse toppe che ne ricoprono gran parte, forse cucite da Santa Chiara utilizzando il suo mantello.

Mi è sempre parso che in qualche modo esse potessero simboleggiare le interpretazioni forzate che sulla figura di San Francesco sono state nel tempo cucite, fino quasi a far sparire la struttura originale.

Nel tempo san Francesco è stato interpretato in tanti modi, dal rivoluzionario alla vittima della Chiesa fino a diventare un panteistico modello new age e negli ultimi tempi un ecologista ante litteram. Tutte storture dovute ad interpretazioni dettate da visioni ideologiche sottostanti, quando non condite da una marcata ignoranza della sua figura e soprattutto dei suoi scritti.

Inoltre lo storico sa, o almeno dovrebbe sapere, che applicare parametri contemporanei a figure e pensiero di diversa epoca conduce a conclusioni fuorvianti.

Francesco fu uomo dei suoi tempi, certamente straordinario, come straordinari sono tutti i santi, ma con i pregi e i limiti del suo ambiente.

San Francesco fu sopra ogni cosa un uomo innamorato di Cristo, che raggiunse un livello di adesione tale da immergersi totalmente ed immedesimarsi nel Suo amore, capace di por[1]tarlo a soffrire nel suo corpo le ferite del Signore.

Non a caso definito “alter Christus”, impiegò una grande e tormentata attenzione a non insuperbirsi per questo, ma a vivere nell’umiltà profonda, dove l’opzione radicale di povertà era di supporto a tale scelta.

Come Romano Guardini osservava, san Francesco non arrivò dalla povertà alla scelta di Cristo, ma al contrario dall’amore verso Cristo giunse a quello verso chi è povero e sofferente, sia materialmente sia spiritualmente.

Da qui la decisione di condividere l’esperienza con i più miserabili, dai lebbrosi ai senza mezzi, per esserne più vicino e saper trovare in essi il volto di Cristo.

Bisogna poi sfatare il mito che sia stata una figura sbocciata a caso in un mondo totalmente estraneo.

Nel momento estremamente vitale in cui si situa la non lunga vita del Santo, altre figure si muovono su linee simili, ereditando l’esempio e l’esperienza di personaggi precedenti.

I movimenti ereticali e pauperistici si moltiplicano all’epoca.

La grande differenza tra Francesco e molti altri che ritenevano di riformare la Chiesa ponendosi in opposizione ad essa, fu proprio il fatto che Francesco volle sempre e fortemente rimanere all’interno della Chiesa, assoggettando all’autorizzazione del Papa ogni sua iniziativa, financo le più marginali, come ad esempio l’organizzazione della notte di Natale di Greccio.

La sua radicalità religiosa certamente colpisce, tuttavia essa fa parte di un modo di pensare e di comportarsi nel luminoso medioevo.

E san Francesco era sicuramente un cattolico profondamente radicato e radicale nella sua fede, oggi si direbbe forse un intransigente, un uomo per certi versi duro, soprattutto con se stesso – al termine della sua vita ebbe rimorso per le vessazioni inferte al suo corpo, riconoscendo in esso parimenti un dono di Dio – ma capace di un amore oserei dire quasi materno nei confronti dei suoi frati e del prossimo.

Bisogna anche sfatare il mito che Francesco fosse un povero ignorante.

Francesco aveva una preparazione culturale e una formazione scolastica, cosa relativamente frequente nei rampolli di un ceto mercantile che andava prendendo sempre più rilievo.

Sapeva leggere, scrivere, conosceva a sufficienza il latino e aveva una solida frequentazione delle Sacre Scritture in particolare liturgiche attraverso soprattutto il Breviario.

I numerosi scritti di san Francesco – che dovrebbero rappresentare la fonte prima per ricostruirne la figura – sono una testimonianza non solo della profonda fede e spiritualità del personaggio, ma anche di una padronanza della lingua, della scrittura, ed anche della poesia e della musica.

A questo proposito non si può non citare il “Cantico delle creature o di frate Sole”, una delle prime opere poetiche in volgare – lingua che usava volentieri per essere più vicino alla gente a cui predicava – noto a tutti e su cui sono stati spesi fiumi di parole.

Il cantico è una perfetta laude, con strutture poetiche ben definite e dei riferimenti numerici.

Il medioevo era molto attento ai simboli e alla numerologia: il Cantico ad esempio è composto da 33 versi, come gli anni tradizionalmente attribuiti a Cristo e con chiaro riferimento alla Trinità, e nel testo si trovano altri riferimenti di questo tipo.

Inoltre Francesco doveva aver composto anche la musica, purtroppo non pervenutaci.

Non importa sapere se esso fu redatto tutto in una volta o a più riprese: certamente fu scritto alla fine della sua vita probabilmente a san Damiano, forse in un impeto di gioia quando, dopo afflizioni, dubbi e tribolazioni per la sua sorte futura, gli fu assicurato il premio eterno.

Il substrato del Cantico è tutto profondamente biblico, con una particolare derivazione dal Cantico dei Tre Giovani (Dan 3, 52-90) e dal Salmo 148.

Francesco chiama fratelli tutte le cose, non certo per una forma di panteismo – la presenza di Dio in ogni elemento – che aborriva, ma in quanto ognuna di esse creata dallo stesso Dio, seppure in gradi e forme diffe[1]renti, al sommo delle quali sta l’uomo.

È questa anche una risposta a certe forme dualisti che circolavano, alcune decisamente eretiche, che vedevano nella materia una realtà negativa ed anzi di ostacolo al raggiungimento della salvezza.

Non abbiamo certo qui il tempo di studiare il cantico, ma un elemento mi sembra importante evidenziare.

Si sa che nel testo è ripetuta più volte la preposizione “per”: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle … per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, … per sor’aqua…” Sull’interpretazione di questa preposizione si sono fatte tante discussioni.

Tuttavia mi pare che l’interpretazione più bella sia quella del “per” come complemento di mezzo: il santo invita a lodare Dio attraverso il riconoscimen[1]to della perfezione e utilità della sua creazione, nella quale si vede il riflesso della sua potenza e bontà, ma anche attraverso le azioni umane, fino a giungere alla lode attraverso la morte, che apre a coloro che spirano nella grazia di Dio la gioia della vita eterna.

Invito tutti alla lettura del testo, facilmente reperibile, per trascorrere nel miglior modo la festa del Santo, il 4 ottobre.

 

Gian Maria Zaccone