L’usura esercitata dal tempo sui ricordi e il disinteresse sono spesso le prime cause dell’oblio in cui finiscono anche gli uomini migliori. Anche per questo motivo abbiamo il dovere di tramandare i loro nomi, come facciamo ora nei confronti dei nostri superstiti della Resistenza, deceduti in questi ultimi anni.

Recentemente è morto Renzo Sarteur all’età di 90 anni, viveva da molto tempo nella frazione Bienca di Chiaverano.

Nato nel 1931 a Challant Saint Anselme, in Val d’Ayas, aveva preso parte alla Resistenza fin da quando aveva solo 13 anni.

Non aveva partecipato ai combattimenti avvenuti in quel periodo perché era solo un ragazzo, ma ciò nonostante si prodigava per portare in salvo militari sbandati dopo l’8 settembre, profughi e perseguitati politici.

Una volta aveva dovuto fare da guida anche a un gruppo di paracadutisti inglesi che erano stati lanciati per errore in Valle d’Aosta.

In seguito, era stato assunto da un’azienda che si occupava di macchinari utilizzati per la manutenzione delle strade.

Nello stesso tempo aveva fatto parte del Pci e dell’Anpi, collaborando con il giornale L’Unità e altre pubblicazioni.

Aveva sempre con sé la fedele cagna Lilla, sua compagna inseparabile.

Nel novero degli ultimi superstiti della Resistenza, ancora viventi nel Canavese fino a pochi anni or sono, vi erano pure Amos Messori, Riccardo Ravera Chion e Antonio Ferrera di Baio Dora, morto nel febbraio scorso all’età di 101 anni.

Amos Messori, di origine emiliana, aveva fatto parte del gruppo di Giustizia e Libertà che nel 1944 aveva distrutto per due volte il ponte ferroviario di Ivrea al fine di evitare un bombardamento da parte dell’aviazione alleata, che avrebbe potuto causare molte vittime tra la popolazione.

Anche Riccardo Ravera Chion era solo un ragazzo quando si era arruolato con il fratello Luciano nella VII Divisione “Garibaldi”. Riccardo ricordava con viva commozione l’episodio della cattura del loro comandante Ugo Macchieraldo e di altri partigiani, avvenuta a Lace di Donato nel gennaio del 1944, a causa di un tradimento.

E si rammaricava perché era giunto con altri partigiani sul posto quando i loro compagni erano già stati catturati.

Egli ricordava, inoltre, che il comandante Macchieraldo aveva un cane molto affezionato, il quale aveva seguito il suo padrone quando era stato catturato.

Un testimone, poi, aveva raccontato che il comandante Macchieraldo aveva pronunciato queste parole prima di essere fucilato con i suoi compagni: “Perdono i tedeschi perché sono sempre stati nostri nemici, ma non posso perdonare i fascisti perché sono i loro servi”. Si è saputo, inoltre, che confortava i suoi compagni mentre attendevano di essere fucilati.

Roberto Damilano