(Fabrizio Dassano)

Oggi le ultime commissioni d’esame hanno finito, ne restano pochissime per domani. Quel capannello di studentesse e studenti che devono passare gli orali (o li hanno appena passati, ma sono a scuola per condividere il destino dei compagni ancora “sotto torchio”), lo trovo encomiabile. Un gesto d’altri tempi.

Come quello di una storica locale che ha commentato il mio precedente “dito nella piaga”. La ringrazio, quella donna, perché oltre a dare un senso alla mia rubrica, mi ha corretto un’imprecisione. Quindi oltre alle telefonate che ricevo settimanalmente all’uscita della rubrica, non posso che essere contento.

C’è tutta una teoria di persone che segue il nostro “Risveglio Popolare”. Scoglio in mezzo ai marosi dell’odio governativo applicato ai limiti della nostra democrazia. So di prendere spazio impunemente, ma lo devo fare una volta tanto per ringraziare i nostri lettori che ci sostengono e ci aiutano.

Stavolta voglio raccontarvi di una gita ad Exilles, terreno del vecchio Delfinato francese in Val di Susa. Ho accompagnato in pantaloni corti il coro della Cattedrale di Ivrea nella mirabile chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, prelevato dalla mia solita badante intellettuale, dopo una brutta giornata spesa a Malpensa ad accompagnare il trasloco del mio secondogenito con famiglia alla volta della Cina, verso una nuova vita lontano dall’Italia. Lì dopo il concerto e una merenda “sinoira” in una stalla, a bere vino e a parlare di Colombano Romean e della guarnigione della fortezza d’Exilles, mi sono ripreso. Mi sono sentito ancora in una casa possibile.

Contemporaneamente una mia discepola si è trasferita in Spagna (un’altra due settimane prima) e mi sono davvero trovato solo qui in Piemonte, dopo che qualche anno fa, quando altri due cari giovani amici avevano preso dottorati a Utrecht e a Birmingham, sono scomparsi. Mai più tornati. A volte mi domando che ci sto a fare qui, ma ormai sono troppo vecchio per andarmene, tolto che lo farò per le prossime vacanze per il mio “Dani Tu Tu” (il nipotino) che da una settimana sta in Cina.

Ma cosa sta succedendo che io non mi sono accorto? Che Paese abbiamo lasciato – o stiamo lasciando – in mano ai nostri giovani?

Quanto a me, prenderò una casa in campagna, di quel Piemonte che amo e che orgoglioso nipote di contadini e soldati del regno, mi pregerò di onorare con un orto, una buona cantina facendo legna nel bosco in inverno.

Per intanto ho affiancato l’americana “whatsapp” sul telefono con “wechat”, una app controllata e ammessa in Cina, per veder mio nipote di due anni e mezzo. Ma tolto questo, il mio affetto per la globalizzazione che mi hanno gettato addosso, si ferma lì. “Vive le Royaume de Sardaigne!”.