(Alessandro Crotta)

In quella casa rurale di quei borghi dove ritmi e abitudini erano scanditi con quelli della campagna, e a volte anche dal regolare rintocco del campanone di città, quel giorno l’assenza della “Marianin dal potagé” fu accolta con sorpresa: un fatto insolito in famiglia, sulla cui ruota della quotidianità tutti ed ognuno avevano un ruolo.

Fu dopo la festività di Ognissanti che un mattino Thérèse-Marianin Blanchérèt non fece la consueta comparsa in cucina. Marianin o Thérèse, insomma la “Granda” se preferite, si ammalò così, improvvisamente.

Dopo la figlia che accendeva il fuoco e le predisponeva la caffettiera appoggiandola sull’estremità tiepida della stufa, era ancora la “Granda” – con i suoi ottantacinque anni “ben portà” – ad apparecchiare scodelle e cucchiai per la colazione di tutta la famiglia. Tale incombenza la “Granda” la concludeva ben prima che la figlia Rosa e il genero Ermete rientrassero da “monzer e sigrir”.
Per Thérèse le giornate di serenità si alternavano a quelle dove solo le attenzioni e la vicinanza dei famigliari riuscivano – almeno in parte – ad alleviare il malessere che l’affliggeva.

Compatibilmente con gli impegni nel podere – a fine autunno non particolarmente pressanti – al capezzale della Marianin si alternarono un po’ tutti: la figlia Rosy o Rosin, la nipote dodicenne Rita e anche Stefano, di qualche anno maggiore della sorella. Per quest’ultimo nipote, che nel nome le ricordava quello del marito, la nonna aveva una vera predilezione; il loro legame di affettività, fatto tanto del comprensibile quanto dell’incomprensibile, era, forse, più dovuto alla bellezza dell’inspiegabile che non a quell’insieme di disquisizioni e sofismi con cui si fa audience oggidì.

Fu con Stefano che una sera la nonna rievocò le sue montagne aostane, la sua Vallée. Aveva, quel suo rievocare, l’incanto della magia. Dalle labbra sottili, dietro le quali con la solita riservatezza e senso estetico occultava l’ultimo premolare corroso dal tempo, al ricordo di una delle loro ultime bravate di cui erano peraltro famosi in borgata, sul suo viso comparve un sorriso; un sorriso astuto quanto compiacente che le rasserenò il volto.

Fu una rievocazione stentata di un fatto il quale, come rivelò successivamente Stefano, accadde all’insaputa dei famigliari qualche tempo prima.

Che l’esile Marianin fosse una donna intelligente, di carattere e determinazione, lo sapevano tutti in borgata. Tuttavia, pur con tutte quelle grandi cose che la resero personaggio, in lei albergò sempre il cruccio di non avere imparato a nuotare; fatto da tutti considerato di poco conto, ma non da lei – una Blanchérèt, che diamine!

Rientrata dal giro serale “dle pòste” Rita, la nipote, entrò nella camera della “Granda” per dare il cambio al fratello. Lo trovò addormentato con il capo appoggiato sul letto, la mano sinistra a penzoloni e la destra tra le mani della nonna. Quest’ultima, con un sorriso fievole come il suo respiro, dischiuse gli occhi e li volse verso la figura della nipote.

Lentamente si guardò attorno. Lo sguardo si posò sullo specchio, si abbassò sul catino con brocca in porcellana posto nell’angolo accanto alla finestra. Successivamente lo sguardo s’indirizzò sul comò, proprio di fronte; si soffermò su di una vecchia foto del marito in divisa militare, scansò quell’insieme di cianfrusaglie e volse lo sguardo sulla parte restante del comò.

Vi ritrovò le solite cose: la lampada a petrolio, un porta ritratto in argento, le foto dei nipoti e qua e là, un po’ “a rabel”, cose di poco conto. Volse poi lo sguardo a sinistra, verso il guardaroba sul cui ripiano superiore trovava rifugio, da anni ormai, qualche vecchia foto, la polizza di assicurazione incendi della Toro e le carte di famiglia.

A destra, una sedia e sul comodino una caraffa, un bicchiere d’acqua mezzo pieno e l’immancabile scatoletta dei “sanateur”. Sulla parete, alle spalle di madame Blanchérèt, il Crocifisso e appeso ad esso il rosario della sua prima comunione. Intanto, quello sguardo soffuso di soavità e luminosità in procinto di spegnersi, lo volse verso la figlia Rosa nel frattempo sopraggiunta.

Il respiro per un attimo si fece affaticato, poi ansimante. La singhiozzante Rita capì: il momento del commiato con la nonna era prossimo. Qualche attimo dopo, con la mano dell’addormentato Stefano ancora nella sua, con un sospiro lieve come un sogno in una volta stellata, madame Blanchérèt bussò alla porta di “Pietro il Santo”.

(1- continua)

Legenda.  “Potagé”: sorta di stufa; “Granda”: nonna; “monzer e sigrir”: mungitura e riordino della stalla; giro “dle pòste”: consegna del latte a domicilio; “a rabel”: alla rinfusa; “sanateur”: pasticche di liquirizia.