(Mario Berardi)

Siamo il terzo Paese al mondo, dopo Belgio e Perù, per decessi da Covid-19: 130 ogni 100mila abitanti. Questa triste realtà, insieme alle nuove minacce provenienti dalla Gran Bretagna del “facilone” Boris Johnson, dovrebbero indurre tutti, a cominciare dalla classe politica, ad accrescere ogni sforzo nella lotta alla pandemia, senza rivalità tra Stato e Regioni, senza contrasti televisivi tra scienziati. Invece si profila sempre più il rischio della crisi politica, dopo il varo del bilancio statale 2021, per l’aperta sfiducia dei Renziani al premier Giuseppe Conte.

Si profilano quattro scenari, tutti difficili:
– Il Presidente del Consiglio va alle Camere e chiede il voto, oltre a M5S, Pd, Leu, a due gruppi centristi: “Autonomia”, che esprime realtà locali, e i cosiddetti “Responsabili”, ovvero senatori di provenienza grillina, berlusconiana e Udc; una eventuale risposta positiva potrebbe anche portare alla sostituzione dei due ministri di “Italia Viva” con esponenti della nuova area di maggioranza. Questo sbocco politico consentirebbe al governo di varare subito i piani per il Recovery fund (i 209 miliardi dell’Europa), senza ritardi, in una situazione economica difficile che prevede nel 2021 (secondo la Banca d’Italia) un aggravamento della disoccupazione dal 10 al 12 per cento, nonostante un leggero miglioramento del prodotto interno lordo, ma con un forte incremento del debito pubblico per i necessari “ristori” alle categorie più colpite dalle chiusure del lockdown.

– In caso invece di caduta del Governo i Renziani propongono un governo tecnico (ma la decisione spetta a Mattarella). Uno scenario cui sono tuttavia contrari la Meloni e i Democratici; nella Lega Salvini è perplesso (essendo euro-scettico, come potrebbe accettare la guida di un super-europeista come Mario Draghi?), mentre è favorevole il numero due Giorgetti, grande sponsor dell’ex presidente della Banca Centrale Europea.

– Nella confusione della politica il Capo dello Stato può sciogliere le Camere e indire nuove elezioni: ma c’è l’incognita delle conseguenze del Covid (andare alle urne in tempi di lotta agli assembramenti?) e dei ritardi, inevitabili, nel varo degli investimenti del Recovery fund (almeno quattro mesi). Sul piano squisitamente tecnico il voto anticipato sarebbe possibile, perché sono stati disegnati i nuovi collegi elettorali dopo la riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari; la legge elettorale resterebbe l’attuale, maggioritaria (con una quota proporzionale).

– Dopo tanti litigi la coalizione giallo-rossa e i renziani potrebbero trovare l’accordo per un rimpasto di governo, con l’ingresso dei leader di partito e un ridimensionamento del ruolo del premier Conte; sarebbe probabile anche un’intesa sull’elezione del nuovo Capo dello Stato, ai primi del 2022 (potrebbe esserci la rielezione di Mattarella, per un breve periodo di tregua politica, come già avvenne con Napolitano, anche in considerazione dell’attuale stallo numerico, alle Camere, tra gli schieramenti).

Il clima confuso in maggioranza ha contagiato anche l’opposizione con una crescente concorrenza per la leadership tra Giorgia Meloni (salita al 16% nei sondaggi) e Matteo Salvini (sceso al 23 dal 37 di un anno fa). L’incertezza è emersa anche alle Camere nel varo della legge finanziaria da 40 miliardi: accanto a misure valide come le esenzioni fiscali per i danneggiati dal lockdown, l’introduzione della cassa-integrazione per le partite Iva, migliori agevolazioni per le persone fragili, aiuti per la sanità (4 miliardi), sono stati approvati 130 emendamenti di tutte le parti politiche su temi locali o corporativi per una spesa analoga a quella riservata contro il Covid-19. Non è un bel viatico per le future decisioni sul Recovery fund: giustamente il ministro dell’Eco-nomia Roberto Gualtieri e lo stesso Mario Draghi hanno chiesto poche scelte ma strutturali, senza dispersione delle risorse in tanti rivoli.

Al primo posto vanno messi i giovani: la priorità va data, insieme alla sanità, all’istruzione e alla formazione, con un particolare riguardo alle carenze del sud (soprattutto per la digitalizzazione) e alla parità di genere. Il 2021 può ancora essere l’anno di una vera ripresa: dipende da tutti noi, ma in primis dalla classe politica.