(Alessandro Masseroni)

Siamo giunti alla fine del nostro cammino quaresimale con cui ha inizio la Settimana Santa o, come la chiamano i nostri fratelli ortodossi, “la grande settimana”. Oggi accade infatti qualcosa di grande: oggi Gesù entra in Gerusalemme.

C’è però una stranezza nell’immagine che ci creiamo di questa pericope… com’è possibile, osservando le pericopi precedenti, questa accoglienza a Gesù da parte della città? E poi, cosa c’è di trionfale nell’ingresso di un profeta – o forse poco più per gli ebrei del tempo – sul dorso di un semplice puledro? Che ne è stato di quel Messia che doveva venire con potenza a liberare Israele? E come conseguenza la domanda più grande di tutte: “Ci siamo forse sbagliati?”. Gesù, l’uomo che aveva annunciato la venuta del Regno di Dio, guarito i malati e ridonato la vita a numerosi uomini, è visto come un idolo dalle genti che, esattamente come all’inizio della sua predicazione, volevano “venire a prenderlo per farlo re” (Gv 6,15).

Gesù riconosce che questa non è la sua missione infatti egli continua imperterrito ad annunciare anche là dove egli sa che la sua testimonianza sarà radicalmente diversa. Gerusalemme è la terra che non sa di essere visitata e in questo c’è tutto il dolore di Gesù che si trova già ad avvertire sulla propria carne i segni della Passione, cioè i segni dell’incredulità.

Il Re Messia, nato in una stalla a Betlemme, dopo aver vagato come un viandante per tutta la sua vita, non smette di essere umile e, esattamente come il Battista, non smette di indicarci da dove viene la pienezza della vita, da Dio stesso. Nella contraddizione di un popolo infedele che pare vivere di “panem et circenses”: prima lo odiano – fin quasi a lapidarlo – e ora lo adulano in maniera non così diversa dal vitello d’oro per Israele.

Gesù non è di nuovo riconosciuto, è ancora l’uomo dei miracoli, non l’Emmanuele, il Dio con noi che ci salva. Dio è con noi appunto nella misura in cui tocca ogni punto, fin anche i più dolorosi, dell’esistenza umana, così da farci dire con il salmista “Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti” (Sal 138,7-8).
Gesù, come non si fece troppi problemi a entrare nella casa del pubblicano, così non ha problemi ad entrare in Gerusalemme, nel suo Tempio e cioè con la Pentecoste, nel Tempio del tuo cuore, per potervi prendere dimora come il più piccolo tra tutti, ma al tempo stesso, come il Signore della tua vita.

Dice infatti il Signore ad ognuno di noi: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.” (Ap3,20). E tu, sei pronto ad aprire il Tempio del tuo cuore a Cristo per liberarlo dai mercanti e renderlo un posto adatto perché Gesù possa celebrare la sua Pasqua dentro di te e così colmarti di ogni Grazia che con cuore limpido gli domanderai?

Mc 15, 1-39 (Forma breve)

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco

– Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei? Al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù,
lo portarono via e lo consegnarono a Pilato.
Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici».
I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose.

Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!».
Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.
A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta.
Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito
concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?».
Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba.
Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!».
Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!».
Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.

Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa.
Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo.
Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui.
Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. Costrinsero a portare la croce di lui un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo.

Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.

Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!».
Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.
Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere».
Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo.
Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».