(Filippo Ciantia)

Il 9 ottobre, gli ugandesi celebreranno il 58° anniversario della loro indipendenza. L’Uganda potrà andar fiera di essere considerata dalla rivista Lancet come uno dei dieci Paesi che meglio hanno, finora, affrontato la pandemia: al 4 ottobre, si registravano 8.862 casi e 79 morti. Certamente i test eseguiti sono stati molto pochi e quindi gli infetti sono probabilmente molti di più: ma i morti non possono essere ignorati.

La scienza si interroga sulle ragioni di tale imprevista mancanza di un “disastro annunciato in Africa”. Una delle ragioni sta nell’abitudine drammatica che la popolazione e gli operatori sanitari ugandesi hanno accumulato negli anni nell’affrontare vecchie e nuove epidemie: AIDS, Ebola, Febbre Gialla…

Prima della tragica epidemia nell’Africa Occidentale che registrò ben 11.325 morti, la più vasta epidemia di Ebola si registrò in Uganda, nella città di Gulu, dove, grazie al coraggio, all’abilità e al sacrificio degli operatori sanitari, fu circoscritta e domata in pochi mesi, registrando la più alta sopravvivenza (oltre il 50%) alla fatale malattia che la medicina abbia registrato. Ma al prezzo della morte di 13 operatori sanitari tra cui il direttore dell’ospedale Matthew Lukwiya.

Quando, pochi giorni fa, ho ricevuto la notizia che il Covid-19 aveva raggiunto l’ospedale di Kalongo nel nord Uganda, dove ho lavorato anni fa, ho avuto un tuffo al cuore. “Ci sono 9 persone tra medici e infermiere positivi e in isolamento.

Tutti in buone condizioni, ma abbiamo paura. Pregate per noi!”. Dopo tre giorni i casi positivi erano già una quarantina. “E anche la malaria sta aumentando tantissimo! Il reparto di pediatria è già pieno con pazienti sui pavimenti!”.

Mi sono passati davanti agli occhi i volti dei “miei” staff mentre cercavano di salvare i bambini dalla morte. Ma se anche loro si ammalano, chi potrà curarli?

Tra di loro ci sono persone care, amiche oltre che ex colleghi. Ho sentito un senso di affetto e commozione. E mi sono chiesto la ragione di questo legame affettuoso. Ho bisogno di sapere che anche loro stanno bene: ho bisogno di loro per stare bene.

Siamo stati creati per altro da un Altro. Solo sapere che Suor Santina e gli altri stanno bene, mi rende sereno e in pace.

In una preghiera, perché ognuno diventa se stesso grazie ad altro da sé.