(Mario Berardi)

A soli tre mesi dalla formazione del Governo Draghi, la coalizione destra-sinistra che lo sostiene presenta segni crescenti di disagio, con liti continue. Il segretario del Pd Letta ha chiesto al premier di fermare la linea leghista di “partito di lotta e di governo”; Salvini ha rivendicato libertà d’azione e ha contestato ai Dem la scelta di temi divisivi, come il disegno di legge Zan sull’omotransfobia. Il premier, impegnato sui temi concreti del Recovery-plan e della campagna vaccinazioni, ha mantenuto un profilo politico “basso”, difendendo il ministro della Salute Speranza dall’assalto delle destre, ma aprendo sulle riaperture come chiedeva Salvini.

Anche sulle prospettive della legislatura le divisioni sono nette: la Lega punta sull’elezione di Draghi al Quirinale già nel prossimo febbraio per andare subito dopo al voto; i Dem preferirebbero una proroga di un anno del mandato di Mattarella per confermare le urne alla scadenza del 2023. Il Carroccio ha il problema di contenere l’avanzata della Meloni, i Dem attendono l’evoluzione politica del M5S, oggi indebolito dal caso Grillo e dalla rottura con il patron della piattaforma Rousseau Davide Casaleggio.

Nonostante tutto, è stato agevole il sì al Recovery-plan, perché tutte le forze di governo hanno interesse a gestire gli oltre 200 miliardi dei finanziamenti europei. Restano i nodi preoccupanti relativi al cammino legislativo delle leggi di riforma, che Bruxelles giudica essenziali: più agevole la strada della semplificazione legislativa e della riforma della pubblica amministrazione, difficile l’iter della riforma fiscale e della giustizia (sulle tasse i partiti di sinistra insistono sul criterio proporzionale, la Lega indica una cifra fissa); sulla Magistratura le linee sono opposte, tra garantismo e giustizialismo; non aiuta il nuovo scandalo che ha coinvolto il Consiglio Superiore della Magistratura, con scontri in Procura a Milano su una presunta Loggia massonica segreta e sulla diffusione ai giornali di atti “secretati”.

Altro tema divisivo è il disegno di legge sull’omotransfobia, che attende il giudizio del Senato; dopo l’appello della Cei a un dialogo che aiuti a superare i punti critici, anche il mondo femminista si è diviso. Sulle pagine “laiche” de “La Stampa”, la nota studiosa Marina Terragni ha contestato il richiamo nel ddl del concetto di identità di genere, che si presta a molti rischi interpretativi, dalla libera scelta del sesso a prescindere dalla nascita, con una semplice autodichiarazione all’anagrafe, alla delicatissima questione della maternità surrogata. Altre personalità hanno chiesto di chiarire cosa si intenda per “discriminazioni”, nel rispetto, previsto dalla Costituzione, della libertà di opinione, fermo restando la giusta condanna per violenze, soprusi, incitamento all’odio.

La società, come testimoniano i sondaggi, chiede un testo equilibrato del ddl Zan; sarebbe una sconfitta per tutti se l’iter legislativo si riducesse ad uno scontro frontale Salvini-Letta.
Altro tema dirimente riguarda la scottante gestione dei migranti: dopo la tragedia recentissima delle oltre cento vittime al largo della Libia e la puntuale, ferma denuncia di Papa Francesco contro l’inerzia delle autorità competenti, è ripreso con maggior impegno il pattugliamento delle acque territoriali da parte della Guardia costiera. E subito sono ripresi gli attacchi di Salvini e della Meloni.

Di fronte ai tanti contrasti nella sua coalizione, il premier Draghi – che già il “Corriere della Sera” disegna nei panni di… Napoleone –, dovrà presto rinunciare al basso profilo politico per assumere in prima persona la guida del Parlamento, prima che avvenga un incidente di percorso tra i duellanti della sua compagine. Perché le differenze ideologiche potrebbero condurre alla paralisi legislativa su temi caldi delle riforme, bloccando il Recovery-plan.

Ma anche i duellanti Salvini-Letta debbono riflettere sugli effetti-boomerang dell’eventuale blocco legislativo: darebbero ragione a quegli elettori che, in numero crescente, si collocano sulla linea dell’opposizione, a destra la Meloni, a sinistra Fratojanni; insieme sono al 23%, quasi un elettore su quattro, senza dimenticare il 40% degli italiani che si astiene o non indica preferenze.

E anche la vicenda Rai-Fedez deve far riflettere: come ha detto il segretario della Uil, Bombardieri, il Concerto del Primo maggio ha stravolto il significato della manifestazione Cgil-Cisl-Uil: per giorni si è parlato del rapper e della lottizzazione Rai e si è dimenticato il tema caldissimo del lavoro, in un Paese che ha perso quasi un milione di occupati.