(Cristina Terribili)

Mentre nella maggiori città italiane assistiamo, impotenti, a vergognosi atti vandalici da parte di chi usa il malcontento delle ultime restrizioni governative, tante persone di tutte le età fanno i conti con paure e speranze alle quali ci sembra appropriato dare voce.

Possiamo partire con la storia di Massimo, che quest’anno ha cominciato la quarta elementare. Massimo ha fatto un po’ fatica ad adattarsi alla scuola con la mascherina, con il distanziamento dal compagno di banco. D’altra parte non vedeva l’ora che la scuola riprendesse per poter rivedere il suo amichetto. Ora sanno che alla ricreazione possono giocare insieme, ognuno dalla propria postazione ma per Massimo già va bene e spera con se stesso che non chiudano la scuola, altrimenti Lorenzo tornerà ad essere troppo lontano.

È terrorizzato dalla chiusura della scuola anche Jacopo, che fa la seconda media. La didattica a distanza non gli consente di comprendere le cose: ha fatto tanta fatica a stare dietro a quelle videolezioni e spera che la scuola in presenza possa continuare ancora per un po’, per andare meglio dentro i programmi, per provare a capire almeno un altro po’.

Marina invece quest’anno dovrà affrontare la maturità. Da grande vuole fare l’attrice e il teatro è la sua passione. Quasi con una sorta di sottile presentimento ha passato la maggior parte del suo tempo, dall’inizio del calendario scolastico, a preparare un possibile spettacolo. La mamma di Marina è preoccupata per le versioni di greco e di latino e teme che il poco impegno della figlia si possa ripercuotere sull’esame finale. Ora Marina non potrà vedere la sua compagnia. Le lezioni di recitazione sono sospese. Le versioni invece l’aspettano e, facendo un profondo sospiro, per qualche tempo saranno il suo passatempo.

Giulia è già al primo anno di università. Ha fatto la maturità l’anno passato con poca convinzione: il distacco dalla scuola le ha fatto perdere la motivazione, il ritmo allo studio, ha accentuato quelle sensazioni di benessere e di protezione che il nido della propria casa le ha offerto. A settembre, catapultata nella caoticità del mondo universitario, si è sentita confusa, le è salita una discreta quota di ansia che l’ha portata a valutare la possibilità di seguire le lezioni da casa ma non c’è riuscita. La classe virtuale accoglie solo 300 studenti e lei trova sempre l’aula già piena.

Ma non ci sono solo i giovani in queste storie: c’è anche Alessandra, mamma separata di due bambini: fa la badante, il suo lavoro la impegna la mattina e se la scuola chiude con il figlio piccolo non sa come fare, non saprebbe a chi lasciarlo.

Ci sono Giorgia e Raoul, che con il precedente lockdown sono andati in crisi. Raoul ha perduto il lavoro, cameriere in albergo e neanche con la stagione estiva è riuscito a potersi reinserire (troppo pochi i turisti…); rimanere a casa, dipendere economicamente dal solo stipendio della moglie lo ha fatto sentire depresso. Però hanno una bellissima bambina di tre anni, che l’abbraccia forte e per il quale è un papà speciale. Giorgia non si è arresa, ha trovato un sostegno psicologico gratuito per la coppia. Raoul era restio ma poi ha provato a fidarsi, sta dando un nuovo senso alla sua esistenza, ha molte cose da fare anche per la piccola e per coadiuvare Giorgia, e per ora va bene così.

Tra le voci di questo periodo c’è anche quello di Emma, infermiera di un grande ospedale del Sud. È preoccupata per l’aumento dei contagi: come la primavera passata la terapia intensiva nella quale lavora è diventata di nuovo reparto Covid. La preoccupazione di Emma non è sui suoi pazienti Covid; sa che saranno assistiti con tutte le attenzioni possibili, ma per chi dovesse avere un incidente o un altro problema di salute e non ha la possibilità di accedere velocemente ad una terapia intensiva.

“Sai – mi dice –, qualche giorno fa un ragazzo ha avuto un incidente non troppo lontano da qui ma la terapia intensiva disponibile era solo ad un cinquantina di chilometri da qui. Una corsa contro il tempo, lo hanno dovuto rianimare due volte per la strada. Le persone però non lo capiscono e quando sento che si lamentano perché si sentono privi della libertà perché devono portare la mascherina mi sale una rabbia fortissima. Poi hai sentito della mobilitazione degli infermieri dell’ospedale di x? Non hanno personale lì e i colleghi hanno dovuto lavorare con il pannolone perché non avevano neanche il tempo per poter andare in bagno…”.

“Storie di tutti i giorni”, cantava Riccardo Fogli negli anni ’80. Voci, sguardi, paure e speranze di persone che non distruggono nulla ma che cercano il modo di fare un passo dietro l’altro per superare questo altro periodo di difficoltà generale. E tante altre voci sono da ancora da ascoltare.