(Mario Berardi)

Il premier Draghi ha ottenuto buoni risultati nel viaggio a Washington: ha spinto la Casa Bianca ad accettare la linea europea di trattative con la Russia per fermare la guerra, ferma restando la piena solidarietà all’Ucraina aggredita. Ma a Roma il concerto della politica suona una musica diversa: alla Camera il decreto-legge sul sostegno all’Ucraina è stato rinviato tre volte per mancanza del numero legale (prevalenti le assenze di Grillini, Leghisti, Forzisti).

L’ex alleanza giallo-verde, con Salvini e Conte, critica ogni giorno le scelte di politica estera del Governo, dalla Nato alla strategia militare ai rapporti con Mosca, senza giungere mai al punto di rottura, per evitare le elezioni. Ora anche il leader di Forza Italia ha scelto questa linea: secondo le cronache del “Corriere della Sera”, Berlusconi, parlando a Treviglio, ha giustificato Putin; stessa operazione politica sul blog di Beppe Grillo; questo contesto indebolisce obiettivamente il Governo che ha un pieno appoggio solo dal Pd e dai Centristi (e un’opposizione costruttiva da FdI). La “doccia scozzese” su Palazzo Chigi ha aperto il dibattito sulle prospettive del Paese: l’economista Carlo Cottarelli ha proposto elezioni politiche in autunno, il numero uno del San Paolo Carlo Messina ha respinto l’ipotesi come “una fesseria”, rilanciando Draghi sino al 2023. Ma in quali condizioni e con quale politica, dall’aggressione russa a Kiev alle misure contro la crisi economica e sociale?

La politica estera ha sempre determinato le scelte della Repubblica, a partire dalla collocazione occidentale di De Gasperi nel 1947, una linea spesso richiamata dal Presidente Mattarella in queste drammatiche giornate di guerra. Non è pensabile che il Governo possa vivere a lungo nell’incertezza su un tema così cruciale, anche per il suo ruolo sulla scena internazionale e lo stesso prestigio del Presidente del Consiglio.

Ma il quadro dei rapporti tra i partiti non lascia intravvedere una navigazione serena, anzi. C’è aria di burrasca.

Nel centro-destra l’incontro di Arcore tra Berlusconi – Meloni – Salvini è stato un flop: nessuna intesa sulla Sicilia, tutto rimandato sulla scelta del leader, posizioni opposte sulla guerra, con la Meloni schierata con la Nato, Berlusconi e Salvini “morbidi” con Mosca. E anche in Forza Italia la posizione berlusconiana è contestata dai ministri del Governo Draghi, Brunetta, Carfagna, Gelmini. La titolare del Dicastero delle Regioni, in un’intervista, ha apertamente criticato il leader azzurro: “Le ambiguità pro Putin danno per il Paese… non riconosco più lo spirito di Silvio, mi dispiace di non aver sentito da noi un sì forte all’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia”.

Tra i Democratici, contemporaneamente, cresce il disagio per l’alleanza con i Grillini, per le continue critiche al Governo da parte di Conte, accompagnate da posizioni filo-Mosca di numerosi esponenti del M5S. Una parte consistente dei Dem preme per una nuova intesa con i Centristi, temendo il riflusso sovranista degli alleati grillini.

Questo quadro politico lacerato ha indotto “La Stampa”, con un editoriale, ad avanzare una nuova proposta per le politiche 2023: la conferma del premier Draghi; questo dovrebbe avvenire non con la formazione di un nuovo partito (come Mario Monti nel 2013), ma attraverso l’indicazione del nome del premier sulla scheda elettorale (previsto dalla legge) da parte di diverse formazioni politiche. Sarebbe politicamente un “patto” europeista, occidentale che potrebbe riguardare i Dem, l’area centrista, la componente governativa di Forza Italia e della Lega. Resterebbe escluso a destra l’asse Berlusconi-Salvini, e a sinistra la possibile intesa tra i Grillini e Leu (il leader Bersani ha espresso posizioni molto caute nei confronti di Putin).

In concreto l’aggressione di Mosca contro l’Ucraina rischia di “terremotare” il quadro politico, ricreando condizioni da anni cinquanta, con la priorità alle indicazioni di politica estera. È anche questo un risultato non previsto della decisione bellica di Putin, come la stessa richiesta di Paesi neutrali come Finlandia e Svezia di aderire alla Nato.