(Mario Berardi)
“Mattarella vero patriota”: questo giudizio di Guido Bodrato, leader storico dei Popolari, esprime il senso della scelta dell’inquilino del Quirinale, da mesi aperto alla sua successione per ragioni politiche e personali, poi tornato sui suoi passi per “responsabilità” di fronte al Paese e alle istituzioni democratiche, con tre emergenze aperte: sanitaria, economica, sociale. Il “bene comune” di fronte alla drammatica settimana di Montecitorio, con i mille grandi elettori in piena paralisi istituzionale.
Le urne in bianco, i candidati azzoppati (una ventina) hanno presentato all’opinione pubblica la crisi irreversibile delle coalizioni, con la fine del sistema maggioritario avviato nel ‘93 dal referendum Segni e dalla successiva entrata in campo di Berlusconi.
Matteo Salvini, indicato come protagonista della scelta presidenziale, ha seguito tre strade diverse. Dapprima una prova di spallata del centro-destra (d’intesa con la Meloni e Tajani) con le candidature di Berlusconi e della Casellati, presidente del Senato: operazione fallita per l’opposizione dei Centristi e di una parte degli Azzurri (settanta franchi-tiratori). Quindi un accordo giallo-verde con il leader pentastellato Conte per la designazione di una donna, il dirigente dei servizi segreti Belloni (tentativo stoppato nuovamente dai Centristi e da una parte dei grillini e del Pd). Infine l’adesione su Mattarella, su spinta di Berlusconi, per evitare l’isolamento. Ora Salvini e la Meloni sono al divorzio, mentre Forza Italia è incerta tra il “partito unico” con i Leghisti o una scelta neo-centrista, anche con Renzi.
Nel centro-sinistra è scoppiata la guerra tra i Grillini, con il rischio di una scissione tra Conte e Di Maio, divisi su tutto: il ministro degli Esteri pro-Draghi, il leader politico contro, al punto di tentare l’avventura con i Leghisti e di rompere con i Democratici (clamorosa la lite pubblica con la Capogruppo dem alla Camera, Serracchiani). Ora i rapporti M5S-Letta sono difficili, con il segretario dem alla ricerca di una nuova strategia. Lo stesso Letta ha seguito un percorso bi-fronte: ha puntato sino all’ultimo sulla presidenza Draghi (senza avere una soluzione per Palazzo Chigi), accedendo all’ipotesi Mattarella sulla spinta di parlamentari M5S-Dem.
Confusione anche nella galassia centrista: la nuova alleanza Calenda-Radicali ha scelto la ministra Cartabia, Renzi è oscillato tra Casini e Draghi (accordandosi in finale su Mattarella, ipotesi precedentemente esclusa dalla capogruppo alla Camera, Boschi); i moderati del Centro-destra (Lupi, Toti, Quagliarello) hanno lavorato per l’ex presidente della Camera, Casini.
Un panorama di grande frantumazione, che ha coinvolto lo stesso premier Draghi, “salito” su Mattarella dopo una settimana di veti sul suo nome (la sua debolezza: l’assenza di una guida alternativa per Palazzo Chigi).
La riconferma dell’Inquilino del Quirinale rende tuttavia obbligata la via del Governo Draghi, probabilmente sino alle politiche del 2023, per affrontare le emergenze aperte: la lotta alla pandemia, il rilancio dell’economia, le diseguaglianze sociali, il piano di attuazione dei fondi europei, la riforma della giustizia, la trattativa con i sindacati sulle nuove pensioni, le tensioni in Europa con il conflitto Usa-Russia sulla Crimea…
L’anno che ci separa dal voto politico dovrebbe consentire ai politici di riflettere sul “disastro” di Montecitorio, sulla prevalenza della tattica e dei personalismi rispetto a una precisa scelta di valori. Non si può essere contemporaneamente in maggioranza e all’opposizione, europeisti e sovranisti, con i “poteri forti” e con le istanze popolari. Le radici delle forze politiche non possono cambiare ogni giorno senza venir meno al mandato degli elettori.
Anche l’auspicato ritorno al proporzionale non darebbe frutti duraturi in assenza di una autentica rigenerazione dei partiti, che la Costituzione ritiene essenziali per la vita democratica.