(Editoriale)

Il gusto del futuro, evocato dal Premier Draghi e titolo dell’editoriale della settimana scorsa, per alcuni è stato di sprone per tentare di immaginare su cosa costruire qualcosa che facesse sentire quel gusto, e ancor più vedere quel futuro, sulla lunga distanza al superamento della pandemia.

Per altri il gusto del futuro stava molto più vicino; l’orizzonte temporale era quello di Pasqua e Pasquetta dove fare qualcosa di diverso – come i numerosi viaggi all’estero – che sembrasse una sfida al virus. Le festività pasquali sono state un termometro per misurare la febbre di un popolo esausto e quanta capacità avessero le Autorità di contenere chi voleva evadere e infrangere le regole.

Quelle festività sono state un traguardo tagliato; vinceva chi se se ne stava a casa per ridurre i rischi di contagio, e vinceva chi se ne andava di qua e di là nella logica di avere in qualche modo già vinto il virus o almeno averlo esorcizzato.

E ora quale altro traguardo ci aspetta nell’incertezza che ci avvolge e ci affatica per trovare il gusto del futuro? Altre festività? Sul calendario c’è solo la festa dei lavoratori di sabato 1° maggio e la domenica, poi tutto il resto sarà di settimane “normali” che ci avvicinano alle vacanze estive, altro momento di sfida, altro traguardo chiamato a dimostrare il nostro stato di libertà e di salute psico-fisica. Può essere questo il solo gusto del futuro che ci basta?

C’è una bella differenza tra un futuro da costruire e nel quale buttarsi e il miraggio di qualcosa comunque legittimamente tanto atteso e sperato. La protesta sociale che monta lo sta dimostrando. Sta dimostrando l’attuale stagnazione che, seppur motivata da una curva epidemiologica che stenta a scendere, non lascia altro tempo alla fantasia di chi governa il Paese per un veloce cambio di passo per riaperture e vaccinazioni.