Dal 25 gennaio fino a fine febbraio ERSEL ospita una mostra dedicata a OSCAR GHIGLIA, uno dei protagonisti più emblematici della prima metà del Novecento.La mostra è stata realizzata in collaborazione con la FONDAZIONE MATTEUCCI PER L’ARTE.
Nato a Livorno nel 1876, figlio di un ufficiale dell’esercito sabaudo, Ghiglia inizia a dipingere nel 1895, l’anno in cui incontra Llewelyn Lloyd, con cui stringe un’amicizia destinata a durare una vita. Nel 1899 nello studio di Guglielmo Micheli conosce Amedeo Modigliani, del quale diverrà intimo amico. Nel 1900 si trasferisce a Firenze con Modigliani, Lloyd e Cesare Vinzio e viene ammesso alla Scuola Libera del Nudo diretta da Giovanni Fattori. Nel 1901 debutta alla III Esposizione d’Arte a Livorno, negli anni successivi espone a Firenze – alla Promotrice e all’Esposizione d’arte di Palazzo Corsini – e alla Biennale veneziana. Nel 1907 il critico del Corriere della Sera Ugo Ojetti ne apprezza l’opera: l’approvazione e il sostegno del giornalista saranno decisivi per l’affermazione professionale dell’artista, tanto che nel 1920 Ojetti gli dedicherà anche un ampio articolo monografico sul primo numero della rivista “Dedalo”, da lui fondata e diretta. Tra il 1922 e il 1926 Ghiglia vive una fase di intensa fertilità creativa, in cui rielabora il tema della natura morta. Tra il 1931 e il 1935 per l’aperta avversione al fascismo prende la distanze dalla cultura ufficiale e da molti amici fiorentini. Espone per l’ultima volta nel 1935, alla II Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma.
Gravemente malato, muore il 24 giugno 1945 all’ospedale di Prato.
Nella sua originale ricerca, difficilmente equiparabile a quella di altre personalità dell’epoca, Ghiglia ha saputo coniugare l’attaccamento alla lezione spirituale ereditata da Fattori con gli spunti d’avanguardia che in maniera massiccia giungevano allora da Parigi e dalle colline intorno a Firenze. Sullo sfondo degli eventi che incideranno profondamente sugli intellettuali fiorentini, al punto di determinare un allineamento dei singoli percorsi alle istanze più progressiste di timbro europeo, Ghiglia, notoriamente misantropo e proiettato a tentare di esprimere ciò che sente, si rivelerà estremamente recettivo agli stimoli e al dialogo con i più aggiornati esponenti dei diversi ambiti della cultura italiana. Agli occhi del
giovane Amedeo Modigliani, la sua ricerca, condotta in assoluta controtendenza e connotata da un evidente carattere sperimentale, apparirà come l’unica in Italia a meritare d’essere definita moderna, paragonabile a quella portata avanti negli stessi anni da Picasso e Matisse. Un apporto di estrema rilevanza destinato ad essere interpretato dalla critica come uno dei segni più incisivi dell’arte moderna. “In Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia, c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta”. La nota affermazione di Modigliani, riferita da Anselmo Bucci nei “Ricordi parigini” (1931), contrasta con il silenzio venutosi a creare attorno a Ghiglia dopo la morte. Condizione riservata, come osservava Carlo Ludovico Ragghianti nel 1967 in occasione della mostra “Arte Moderna in Italia.
1915-1935”, a quell’intera generazione d’artisti penalizzata dal “giudizio negativo sul fascismo”.
La selezione di dipinti della mostra, molti dei quali inediti o non più visti da tempo, è stata attuata seguendo un criterio filologico che ha privilegiato il riscontro con testimonianze contemporanee e documenti privati; una sorta di reciproco dialogo che, oltre a fornire elementi preziosi per ricostruire la genesi delle opere, ha contribuito a restituire il colore e la luce di una stagione davvero affascinante e
memorabile.