Torniamo a parlare del dopo Basaglia, perché abbiamo colto molti spunti da chi ha scritto e detto per commemorare i 40 anni dalla legge che ha fatto chiudere i manicomi. Le parole di don Arice sono molto interessanti e condividiamo molti dei suoi interrogativi. Far uscire la famiglie da uno stigma sociale, l’esplosione della patologia psichiatrica, bambini e adolescenti con sofferenza psicologica… Tutto indiscutibilmente corretto, eppure faccio fatica a pensare che basti riattivare la comunità cristiana per dare una risposta a tanta sofferenza. Credo, infatti, che tutto il sistema sociale vada rivisto con una politica diversa e che prenda in considerazione globalmente l’emergenza che rappresenta la salute mentale.
Va rivista tutta la progettazione sociale, che purtroppo lascia fuori una serie di figure; tra i primi gli psicologi, che potrebbero dare una prospettiva diversa a chi deve impostare dei servizi alla persona. Dovremmo pensare che non sono più moralmente accettabili i bandi che fanno lavorare professionisti nelle scuole per dieci euro al mese a bambino e che prevedono la presenza di un operatore ogni 25 bambini, perché questo non permette neanche all’esperto più quotato di riuscire a fare un lavoro dignitoso; dovremmo impedire che ad approvare progetti sociali siano solo persone orientate agli aspetti squisitamente economici e non in grado di valutare la ricchezza di un intervento relativo ai bisogni di una persona; dovremmo comprendere una volta per tutte che spesso la parola solidarietà è priva di significato e che per molti un figlio disabile o con una patologia psichiatrica è “una croce” che non deve essere a carico della società nel suo complesso (“potevano evitare di metterlo al mondo”, mi capita ancora di sentir dire).
Dovremmo mettere al primo posto (e lottare se necessario) affinché venga messo l’accento sulle qualità e sulle competenze delle persone che si occupano di disagio mentale e non solo sui fatturati. Dovremmo pretendere che siano chiare non solo le linee guida relative ai metri quadri o agli estintori per l’apertura di un servizio, ma anche all’etica e alla moralità di chi lavora con chi si trova in uno stato di fragilità psicologica e umana.

Non dovremmo più permettere che esistano centri e servizi e persone che commettono abusi su chi si trova in difficoltà; dovremmo pretendere degli standard di qualità, supervisionare sia la stabilità dei tetti tanto quanto la stabilità emotiva degli operatori. I bambini stanno bene se hanno genitori in grado di crescerli e scuole in grado di educarli. Il centro diurno per bambini dovrebbe essere un servizio in più, sicuramente utile se viene data una risposta specialistica seria e competente, ma prima dovrebbero essere assicurati tutti quei servizi alla famiglia per permettere ai genitori di svolgere pienamente il loro ruolo. Belle sono le esperienze di associazioni che hanno aiutato giovani mamme ad accudire il proprio figlio attraverso l’aiuto di una mamma più esperta. Sovente non era necessario allontanare il bambino dal proprio ambiente, separarlo dalle figure di riferimento, delegare ad un volontariato che per quanto di buon cuore rischia di essere incostante.
C’è bisogno di scuole capaci di accogliere, di offrire spazi pomeridiani per sperimentare cosa significa diventare grandi, di doposcuola con tutor preparati che sappiano dare una spiegazione alternativa a quella degli insegnanti curricolari in classe; di sviluppare il confronto, il senso critico, di costruire quella società futura senza doverci più interrogare su che tipo di società stiamo costruendo, visto che quello che vediamo intorno a noi non ci piace.

Chiamiamo a raccolta la comunità cristiana, per fare un passo, ma anche tutte le altre comunità, per fare più passi, perché l’unico modo per non lasciare qualcuno escluso è avere nella testa un progetto di inclusione sociale vero, che risalti le capacità di ognuno, sappia essere globale e in grado di creare una rete di sostegno intorno a chi soffre. Dobbiamo essere consapevoli che da soli valiamo solo uno, mentre in due, in tre, in cento o mille moltiplichiamo in modo esponenziale il nostro valore e mai più nessuno sarà solo.

Cristina Terribili,
psicologa-psicoterapeuta