E’ stato bello fare un giro allo stadio della canoa di Ivrea in questi primi giorni di mondiale. Bello anche per chi non ne capisce granché di questo sport e trova che tutte le discese, alla fine, sono più o meno uguali. Bello per diverse ragioni. La principale, ci pare giusto sottolineare, per l’ambiente internazionale che si è insediato e di cui le nostre modeste città hanno grandemente bisogno. C’è chi sta peggio di Ivrea che con le sue tre “C” – carnevale, canoa, cavalli – ha già comunque percorso un pezzo di strada in più rispetto a cittadine di eguali dimensioni. Si vuole credere che Ivrea, e il territorio, abbiano piena coscienza della ricchezza e del valore aggiunto che questa “internazionalizzazione” comporta. L’aspetto sportivo – dalle competizioni alla logistica, dagli investimenti ai risultati, dalle presenze alla macchina organizzativa – la fa certamente da padrone. Ed è giusto così. Ma non basta e sarebbe riduttivo; ossia non si sfrutterebbe quel potenziale astronomico che un “luogo” – come lo stadio e i pochi metri quadrati in cui è racchiuso – rappresenta e porta con sé grazie alla presenza di atleti, tecnici, familiari, accompagnatori e fans venuti da molti Paesi esteri. E’ un piccolo spazio che si apre al mondo e che a sua volta viene aperto sul mondo. E non solo per la componente sportiva. Anzi, il lato strettamente sportivo rischia di essere ad appannaggio dei pochi che se ne intendono di canoa, che capiscono fino in fondo, e non “vedono” soltanto la grande fatica degli atleti per governare la loro canoa tra le acque impetuose. Punto.

Perché vedere solo il lato sportivo internazionale che sbarca ad Ivrea, sarebbe come passare accanto ad una bella occasione senza accorgersene, non saltare sul treno che passa e va. Certo, ad Ivrea di treni ne passano più di uno; ma intanto quello è passato… il prossimo, chissà. Fare un giro allo stadio della canoa in questi giorni è respirare l’aria del mondo, è sentire parlare lingue diverse e talora incomprensibili, è incontrare ragazzi, giovani e adulti che vivono esperienze diverse in mondi diversi con costumi e abitudini diverse. Sappiamo approfittare di tutto questo, oppure è solo un incrociarsi di persone che in realtà non si vedono, non si sentono, non entrano in relazione, non creano legami, non aprono gli stretti confini del territorio nostro e altrui per spaziare in un mondo che non si ferma – come troppe volte lo viviamo – al semaforo della tangenziale ai bordi della città? La babele di lingue che risuona lungo la Dora che effetto ci fa? Quello di italiani che con le lingue estere non sono mai andati troppo forte e adesso devono rincorrere, per cui è bene stare a debita distanza? A che reazione ci spinge, perché nella diversità che ciascuno rappresenta, si installi una mentalità più aperta, di nuova convivenza, di crescita, di più ampia solidarietà, comprensione, scambio, condivisione, pace, rispetto?

In qualunque Paese in cui io abbia vissuto e lavorato, ho sempre sentito grandi apprezzamenti per la bellezza della nostra lingua italiana. La più bella del mondo, solevo rispondere, per nascondere un po’ l’amarezza che, purtroppo, seppur così bella non ti porta da nessuna parte. La lingua italiana, surclassata da altre che nel tempo e per ragioni diverse, hanno saputo e potuto imporsi, oggi impossibili da bypassare perché divenute veicolari e senza le quali non si entra in relazione col resto del mondo. Penso a quanto facciano bene coloro che studiano, oltre alle tre lingue tradizionali come l’inglese, il francese e lo spagnolo, quelle “nuove”, del futuro già di oggi, cinese, russo, arabo…
Alla nostra lingua italiana è riconosciuta la dolcezza e la musicalità delle parole. In questi ultimi tempi abbiamo constatato anche quanto può essere dura, cattiva, intransigente, fomentatrice di divisione e odio invece che di unità. Non è colpa della lingua in quanto tale, piuttosto di chi e di come usa le parole per ottenere i risultati che vuole. Le parole vanno dritte al cuore o alla pancia, a seconda di dove si vogliono orientare e l’effetto, ovviamente, non è lo stesso.

Ragione di più perché un’occasione sportiva di grande impatto internazionale come i mondiali di canoa ad Ivrea siano non solo l’eccellenza di questo sport, ma anche una vera occasione di incontro che genera altri incontri e grandi aperture, conoscenze, cultura e scambi sul mondo. Guai se l’incontro sportivo rimanesse confinato in se stesso e si rivelasse finalmente un “non-incontro” a livello umano, in cui tutti noi che la canoa non la pratichiamo, ci siamo cascati perché non avevamo nessuna medaglia da vincere.