(Fabrizio Dassano)

La settimana scorsa abbiamo appreso del possibile storico accordo tra Comune e Città metropolitana per la rifunzionalizzazione di Palazzo Giusiana con l’ampliamento degli spazi didattici dell’altrettanto storico Liceo “Carlo Botta”. Nei corsi e ricorsi della storia, singolare appare il leitmotiv che accompagna le famiglie legate a questo palazzo. Edificato da una famiglia di nuova nobiltà con i proventi degli appalti militari del ‘500 per le corone di Spagna e Savoia, sarà forzosamente svenduto all’ex garzone di panetteria di Ivrea Francesco Antonio Garda, dell’armata napoleonica. Nel 1864 entrò nel novero dei beni comunali.

Il Palazzo risalente al Cinquecento è raffigurato anche nella stampa del “Theatrum sabaudiæ” al nu-mero nove con la didascalia “P. del B. Perrone” dal nome della famiglia sua prima proprietaria. L’archivista ducale Francesco Agostino della Chiesa nella sua Relazione dello Stato Presente del Piemonte, nel 1635, descriveva l’edificio come: “il più bello e magnifico palazzo che al di là da Dora sia in Piemonte che dal Barone Perrone è stato edificato”. Purtroppo ad oggi non vi è memoria di progetto del Palazzo perché l’archivio della famiglia è andato in gran parte perduto oppure è ignoto. Infatti così spiega la nota che accompagna il fondo Perrone incompleto conservato presso l’Archivio di Stato di Torino che va dal 1340 al 1920.

Ma chi erano questi Perrone?
All’epoca dell’edificazione del palazzo, la situazione dei Perrone, provenienti da Quart e poi da Chiaverano era la seguente: Guglielmo III rimasto vedovo di Domenica de Montiglio di Chiaverano, aveva sposato in seconde nozze Simona Montiglio, già vedova Roggero e Calligaris, entrambi uomini di Ivrea.

Il primogenito Giovanni II il 4 aprile 1559 aveva acquistato casa in Ivrea, una casa con torre quattrocentesca, i cui resti furono inglobati nel costruendo palazzo. Era parte di un complesso residenziale, chiamato forse “la Castellata” nei pressi della oggi scomparsa chiesa di S. Francesco. Il figlio Antonio il 24 febbraio 1564 ottenne la cittadinanza di Ivrea. Fu padre di Carlo, il quale diventerà Primo conte di San Martino e di Quart. Padre e figlio, Antonio e Carlo, diventarono fornitori di generi alimentari per le truppe spagnole e sabaude, ottenendo, come affermava lo storico valdostano Jean-Baptiste De Tillier, “ricchezze oltre l’immaginabile”.

Carlo, dotato di forte e disinvolto spirito imprenditoriale, “aggregò” i Perrone — compiacente Carlo Emanuele I perennemente alla ricerca di soldi per le sue guerre — in un “patto d’affari” con l’antica e nobile famiglia dei San Martino, assumendone pure il titolo. Nato a Ivrea nel 1565 divenne tesoriere generale dello stato, consigliere e mastro auditore camerale del duca nel 1601. Nel 1604 ottenne il titolo di conte. Commissario del duca di Savoia nel 1612, trattò per la successione del ducato di Mantova con i suoi ministri e quelli di Spagna e per la remissione delle piazzeforti monferrine. Forse caduto in disgrazia al duca o catturato dagli Spagnoli, fu imprigionato e poi fu deportato in Spagna. Liberato, raggiunse malconcio Ivrea il 2 gennaio 1622 per morirvi diciassette giorni dopo.

Del Palazzo, edificato quasi certamente da Carlo, Riccardo Petitti aveva tracciato un parallelismo architettonico e decorativo con Palazzo Roncas di Aosta, edificato nel 1605 da Pierre Léonard Roncas, dimostrando con documenti inediti, la forte amicizia che legava il valdostano con Carlo Perrone e l’analogia delle loro rispettive carriere di nuova nobiltà e disgrazie finali.

L’ingresso al Palazzo è oggi lungo via dei Patrioti ed è organizzato su tre ingressi che danno l’accesso a due cortili interni e di un cortile delle scuderie: quello d’onore è porticato su due piani, con eleganti colonne in pietra che sorreggono archi a tutto sesto e volte a crociera con fregi. Il secondo è delimitato semplicemente dalle sobrie facciate interne. Composto da tre piani fuori terra e da uno interrato, a seguito dell’innalzamento del livello del terreno, resta di grande rilievo la scalinata monumentale cinquecentesca che parte dal piano terreno per giungere al primo piano ove vi è un’imponente sala e salone d’onore. Parziali restano i soffitti a cassettoni e le volte a vela sono riccamente affrescate.

Le facciate conservano un rivestimento a “graffito”, unico esempio ad Ivrea, che incornicia le finestre e sottolinea i piani e le linee architettoniche. Le facciate, come i palazzi rinascimentali, sono scandite verticalmente da una successione di finestre che al piano terreno sono di geometria rettangolare, al primo piano architravate, con alternativamente architrave triangolare e curvilinea, e al secondo piano sono di geometria circolare. La scansione orizzontale è sottolineata dallo zoccolo in pietra, dal bugnato disegnato e dal rivestimento. La copertura del palazzo è a falde con una struttura lignea rivestita da coppi. Il palazzo si allacciava, con un’ala cinquecentesca porticata, alla chiesa gotica di S. Francesco.

Il Goffredo Casalis ricordava la presenza a palazzo del principe Tommaso di Savoia quando fu governatore della città dopo la guerra civile tra Madamisti e Principisti e il suo utilizzo del passaggio per recarsi ad assistere alle messe in San Francesco dalla tribuna.

Nel Settecento il conte Carlo Francesco Baldassarre Perrone, cultore di antichità, ampliò il suo giardino acquistando il terreno dell’abbazia di Santo Stefano, in gran parte abbattuta a metà del Cinquecento, di cui oggi sopravvive il campanile romanico. Il giardino fu abbellito con due eleganti tempietti classici che contenevano epigrafi romane e reperti antichi provenienti da Ivrea e dal Canavese. Questa aristocratica vunderkammer fu il nucleo del museo cittadino. Il giardino sarebbe diventato pubblico e risistemato alla fine dell’Ottocento con l’apertura del Nuovo Lungo Dora.
Il conte Carlo Francesco Baldassarre Perrone, ambasciatore a Dresda e a Londra e ministro degli esteri, amava le scienze naturali e le arti, ampliò il palazzo in Ivrea e costruì un grande palazzo a Torino, l’attuale sede della Fondazione CRT- Cassa di Risparmio di Torino, in via XX Settembre, oggi visitabile.

Nel 1799 perse il palazzo di Ivrea. Come spiega Alessandro Barbero, Francesco Antonio Garda ottenne 8 cascine, un palazzo a Torino e quello dei Perrone a Ivrea. Garda con l’astro napoleonico e le confische al clero, ottenne qualcosa come 382 ettari tra terreni e immobili per compensare il suo credito verso l’Armée di 726.000 lire. Tra il 1800 e il 1814, 62.000 ettari di terreno vennero venduti ai privati. Quota dell’incasso in cartamoneta, veniva distrutta per abbassare il debito pubblico. 1200 cascine vennero gettate sul mercato e messe all’asta e la nuova borghesia agraria le acquistò tutte. I nobili che non potevano ricomprarsi le proprietà dovevano cedere a prezzi bassi se non simbolici. E questo fu il caso dei Perrone.

Nel 1800 Napoleone vi soggiornò per alcuni giorni dopo aver conquistato la città, prima della battaglia di Marengo e durante la battaglia per il ponte sul fiume Chiu-sella a Romano Canavese.
In una riunione di Stato Maggiore tenutasi nell’Aula magna del liceo cittadino, Napoleonee decise che non avrebbe soccorso Masséna assediato a Genova, ma avrebbe tagliato le vie di comunicazione austriache puntando verso Alessandria. A Marengo fu vittoria. Il palazzo divenne sede di Prefettura e del Tribunale dal 1807.

Memorabile la festa a palazzo per la concessione della Legion d’Onore che si tenne domenica 23 ottobre quando fu decorato l’eporediese Bertin, sottotenente del 111° reggimento di fanteria di linea. Un palazzo vivo già all’epoca se pensiamo allo spettacolo teatrale recitato dagli studenti del liceo (poi Botta) in onore del prefetto Auguste, Jubè che troviamo ne: “Il compleanno rispettoso omaggio d’auguri degli alunni del Collegio d’Ivrea ad Augusto Jubé, barone della Perella, Prefetto della Dora” recitato a palazzo.

Caduto Napoleone, nel 1817 con la Restaurazione, Garda lo cedette al colonnello Amadeo Giusiana cioè suo genero, per mettersi al riparo dalle mire vendicative del potere d’Ancien régime. Acquistato dal comune nel 1864 per ospitarvi le collezioni Garda ed ex Perrone donate da Pier Alessandro Garda, figlio di Francesco, il museo fu inaugurato nel dicembre del 1876 ma subito dopo divenne sede del Tribunale e della Corte D’Assise.

Nel 1929 l’edificio in via Varmondo che ospitava il regio Ginnasio Liceo e il Convitto fu dichiarato inidoneo all’uso anche se attualmente è sede di scuole professionali. Nel 1933 l’ingegnere Capo del Comune Augusto Guaschino, consegnò il progetto per la realizzazione del nuovo Palazzo degli Studi: si sarebbe demolita la manica di Palazzo Giusiana del ‘500 e la chiesa gotica di San Francesco. Al loro posto fu costruito il nuovo stabile che doveva ospitare oltre alla scuola l’Opera Nazionale Balilla, il Museo “P. Alessandro Garda” e la cancelleria del Tribunale.

Il Palazzo degli Studi ospitò il Liceo a partire dall’anno scolastico 1938-1939 ad oggi e per un certo periodo la Scuola Media “Ruffini”. La manica occidentale di Palazzo Giusiana venne occupata dalle classi del Liceo. Nel 1975 il palazzo si presentava molto degradato. Si trasferirono gli uffici giudiziari per iniziare quell’anno i lavori di restauro su progetto degli architetti Fausto Maga e Riccardo Petitti sotto la direzione dell’ingegner Giuseppe Aluffi. La rimozione dei controsoffitti portò alla luce i solai lignei a cassettoni e le decorazioni a fresco la cui esistenza era ignorata.

Dal 2015 l’edificio è vuoto (tolto alcuni uffici comunali) per il trasferimento del Tribunale. Per l’emergenza Covid 19, l’antica ala destinata alla scuola è tornata parzialmente alla sua originaria destinazione.