Siamo andati a trovare un carissimo amico, compagno di avventure in Africa. Fu uno di quei medici, insieme a sua moglie, che ci entusiasmò e che ci portò a partire per l’Uganda. Abile chirurgo e capace di ogni generosità, fu protagonista in quasi tutte le emergenze umanitarie negli ultimi trent’anni: dall’Afghanistan al Sudan, dall’Iraq al Rwanda. Ora è molto malato e ricoverato in un centro di riabilitazione fisioterapica. Con Luciana, l’amico e sua moglie, a passi lievi, lenti e commossi, siamo andati a messa. Durante la consacrazione chissà come mi è venuto in mente il fatto che avrei dovuto scrivere l’articolo settimanale per Il Risveglio Popolare: nulla di quello che mi era accaduto nella settimana mi sembrava adatto.

Dopo la benedizione vedo un ragazzo, chiaramente affetto da Trisomia 21, che si alza dalla prima fila e inizia ad abbracciare un signore sulla carrozzina, seduto al fianco di una giovane donna. Mi attira l’intensità dei baci e delle carezze e la commozione della donna che li guarda con gli occhi lucidi. Il ragazzo non si ferma e dolcemente continua a coprire di baci e carezze quel volto. Mi avvicino e noto che il malato in carrozzina è in stato vegetativo: quel tipico volto amimico, gli occhi fissi di cui non si trova il fondo misterioso. Il giovane gli sistema la testa e il cuscino e continua a venerare quel corpo. Sono trascinato a raggiungerli, osando porre alcune domande. “È il suo papà: ha solo 61 anni e un arresto cardiaco lo ha ridotto così, in pochi minuti. Nostro figlio lo adora”.

Sono stato impressionato e travolto da tanto amore per il padre. Incurante delle condizioni gravissime, senza fermarsi alla comune rassegnazione di fronte a un corpo che pare non avere più l’anima, questo figlio adorava il padre. Alcuni scienziati, quelli che prendono sul serio le condizioni delle persone affette da Trisomia 21, e genitori e familiari e operatori sanitari e sociali, segnalano come questo cromosoma in più tolga a queste persone molti aspetti della personalità e della vita che consideriamo normale. Ma, misteriosamente, accende in loro una naturale e genuina forza affettiva, che dovremmo invidiare.

“Dio mio, spiegami amore come si fa ad amare la carne senza baciarne l’anima” (Alda Merini)

di Filippo Ciantia