(Filippo Ciantia)

In Monica – nata e vissuta nel cuore dell’Africa, ma negli Stati Uniti dall’età di 16 anni e ora mamma e sposa – la celebrazione della Messa in quella calda giornata dell’estate bostoniana aveva lasciato una grande impressione. Il celebrante era un gesuita ruandese, ospite del Boston College per ragioni di studio. I suoi riferimenti alla tragedia del paese delle mille colline e all’Africa degli anni ’90, avevano fatto ritornare Monica all’infanzia trascorsa con la sua famiglia nel conflitto del nord Uganda.

Il sacerdote aveva trasmesso anche un gusto per il canto e per il dialogo con i fedeli, soprattutto con i bambini. Da allora desiderava conoscerlo meglio e con più agio e presentarlo alle sue amiche e alla sua famiglia. Non se n’era fatto nulla finché, dopo qualche mese, Monica ritrovò padre Marcel nella scuola dove insegna italiano, ospite di una sua collega per un corso sull’affronto del trauma.
Infatti, padre Marcel Uwineza è uno dei sopravvissuti al genocidio che afflisse il Rwanda nel 1994: un milione di persone furono trucidate per appartenenza etnica e politica. Il XX secolo che si era aperto con il genocidio degli Armeni, cui era seguita la Shoah, si chiudeva con il genocidio in Rwanda.

Padre Uwineza, allora quattordicenne, assistette all’uccisione dei due fratelli, di una sorella, di una cugina della madre e del padre. Come, tragicamente, avvenne per tantissimi, colpevoli solo di essere Tutsi. Uwineza e tre fratelli più giovani vennero nascosti e salvati da un contadino di etnia Hutu. “Non sono sopravvissuto perché ero migliore degli altri, ma per una ragione”, imparò a ripetersi successivamente.

Entrato nel noviziato dei gesuiti, a 24 anni tornò al suo villaggio per pregare sulla tomba dei suoi cari. Mentre pregava, un uomo lo avvicinò. Riconobbe l’assassino dei suoi congiunti. L’uomo si inginocchiò di fronte a lui: “Perdonami”. Uwineza lo sollevò, lo abbracciò e gli disse: “Io ti perdono”.

Da quel momento si sentì finalmente libero, perché in quell’istante lo Spirito lo aveva guidato e fatto nuovo.

Ordinato pochi anni dopo sacerdote, è diventato testimone dell’importanza della memoria, perché tanto male non accada più.

“È urgente ricordare il male ricevuto, affinché, insieme, si possa sperimentare la presenza di Dio e il Suo amore. L’altro è Dio per me e per arrivare a Dio ho bisogno degli altri”.