Il personale delle principali ambasciate in Sudan e la maggioranza dei cittadini stranieri stanno lasciando il Paese, precipitato nell’abisso della guerra tra opposte fazioni armate. La ONG Emergency invece rimane per continuare le cure ai pazienti negli ospedali di Khartoum, Nyala e Port Sudan. Anche MSF nel Darfur. Con loro anche i missionari, salesiani e comboniani: qui visse e morì San Daniele Comboni ed è la terra di Santa Bakhita!

Nell’ottobre 1978 il presidente ugandese Idi Amin Dada – al culmine di una scellerata e sanguinosa tirannia, che aveva portato la “perla dell’Africa” a miseria e diffusa povertà – ordinava alle sue truppe di invadere la Tanzania di Nyerere. L’esercito tanzaniano, appoggiato da numerosi oppositori in esilio, contrattaccò, avendo presto la meglio sulle truppe principalmente mercenarie del feroce dittatore. Il 25 gennaio 1979 la capitale Kampala cadeva e dopo pochi giorni Yusuf Lule parlava al Paese come nuovo presidente. Amin scioglieva l’esercito, fuggendo in Arabia Saudita, dove morirà in esilio nel 2003.

I numerosi ospedali che operavano nel nord dell’Uganda erano allora gestiti da medici italiani e vi erano numerose missioni cattoliche, soprattutto comboniane. Circa 50 medici della ONG Cuamm e più di 300 missionari rimasero completamente isolati per molte settimane, mentre l’esercito di Amin in rotta si abbandonava a violenze e vendette. Oltre a numerose vittime civili, anche tre missionari comboniani furono assassinati.

La mancanza di notizie, le immagini dei massacri e i pericoli corsi dai cooperanti italiani e dai missionari impressionarono l’opinione pubblica italiana. Ne seguì un ampio dibattito parlamentare che si unì ai digiuni di Pannella, agli appelli di Giovanni Paolo II e ai moniti di Pertini di “svuotare gli arsenali e riempire i granai”, facendo nascere la “Cooperazione Italiana”. Essa permise all’Italia di distinguersi negli aiuti ai Paesi africani più poveri. L’Aiuto Pubblico allo Sviluppo raggiunse nel 1989 lo 0,41% del PIL. Purtroppo, oggi siamo molto lontani da tali livelli.

La crisi sudanese, come allora, e l’auspicato “Piano Mattei”, rimetteranno veramente l’Africa al centro della politica internazionale secondo un “modello di cooperazione non predatorio”, per una reale crescita e una pace duratura?

“Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”
(Paolo VI, Populorum progressio, 1967)