(Susanna Porrino)

Mi domando se possiamo immaginare di chiedere ai ragazzi di prepararsi di nuovo all’eventualità di settimane in cui vengano riproposte le modalità di didattica a distanza. In una situazione che ha enormemente aggravato i casi già esistenti di dipendenza dalla tecnologia, ansia sociale, svogliatezza e passività, la scuola italiana ha faticato a ripensare sé stessa in un modo che la rendesse strumento e non scomoda imposizione in un contesto di per sé già angusto e faticoso; se, per la quarta volta, i ragazzi si troveranno costretti a spendere le proprie ore tra le pareti di casa, sarà necessario che essa si dimostri in grado di offrire una risposta più efficace per continuare a funzionare – e a funzionare bene – anche in circostanze poco favorevoli.

Di fronte alle crisi e alle fragilità che sono nate a causa della pandemia, la scuola è una delle poche dimensioni che può guidare i giovanissimi a scoprire ed esplorare nuovamente e più in profondità l’esistenza di mondi e realtà mentali più complesse ma altrettanto apprezzabili di quelle offerte dagli schermi di telefoni e computer. Molto più del voto, delle nozioni e dell’esercizio di una pressione a cui i ragazzi sono fin troppo abituati, occorre creare per loro uno spazio di vita in cui possano sperimentare la conoscenza della realtà in una dimensione in cui rifuggire l’alienazione e l’estraniamento, insegnando loro a guardare il mondo con occhi desiderosi di conoscerlo.

Indagando quegli angoli reconditi la cui natura rimane ignota e invisibile a chi non intende cercarla, l’uomo in realtà conosce sé stesso, ed impara a conoscere le cose visibili con cui si confronta; sottraendosi alla fruizione diretta della realtà, e comunicandone con ciò che inizialmente può vedere solo in modo sfocato, impara a viverla. Al contrario, ciò a cui la tecnologia ci ha educati è un’esperienza del mondo immediata e senza filtri, disponibile in qualunque momento e a qualunque livello di superficialità, ma che, paradossalmente, conduce all’alienazione: perdiamo coscienza della distinzione tra ciò che è reale e ciò che è fittizio; e, nauseati da una quotidianità in cui siamo costretti alla stancante pratica delle relazioni, inseguiamo nella solitudine l’aspirazione a modelli di vita inesistenti e basati sull’apparenza.

Abbiamo creduto che la nascita del web avrebbe potuto renderci sapienti, ma eliminando in noi il desiderio di cercare il cuore delle cose ha eliminato anche la possibilità di trovarle, lasciandoci indifferenti e insoddisfatti: nella piattezza e nella mediocrità con cui abbiamo iniziato a percepire ciò che ci circonda troviamo la prova del fatto che, come esseri umani, non siamo fatti per limitarci a prendere possesso della realtà per afferrarla e divorarla con una sete insaziabile di soddisfare in noi gli istinti più semplici e basilari, ma piuttosto per immergerci in essa e conoscerla con lo stupore di un bambino.

Non si può permettere che il mondo dell’istruzione, che per molti ragazzi rappresenta l’unica via di accesso a universi e idee che in autonomia non sentirebbero mai il desiderio di esplorare, si trasformi esso stesso in una forma analoga e disturbante di alienazione, basata sull’apparenza molto più che sui contenuti e sull’unica abilità che dovrebbe essere imprescindibilmente trasmessa, ovvero la capacità di leggere dentro la realtà senza rimanerne in superficie.

Sarà necessario cercare nuove strade e nuovi metodi, e cessare di cercare di applicare sempre il medesimo modo di fare scuola al contesto faticoso e difficile dell’insegnamento dietro uno schermo? Molto probabilmente, sì. E se tutto ciò contribuirà a risanare le ferite di due anni in cui la pandemia ci ha costretti a vivere a metà, ne sarà valsa la pena.