(Mario Berardi)

Nel corso del suo mandato, l’oggi dimissionario premier Conte si è distinto per aver “strappato” all’austera Bruxelles 209 miliardi di finanziamenti per il Recovery-fund; ora, tra le cause principali della crisi di Governo, c’è paradossalmente la gestione di queste ingenti risorse, che impegneranno sei bilanci dello Stato.

Alla vigilia della salita al Colle per rimettere il mandato, Conte ha incontrato le parti sociali proprio sul Recovery-plan: buono l’esito dell’incontro con il sindacato, pessimo con la Confindustria, con il presidente Bonomi che ha nuovamente “sparato” a zero sul governo. L’obiettivo degli imprenditori: ottenere ulteriori risorse a scapito di altri settori di spesa (una linea, quella della Confindustria, molto sostenuta da alcuni importanti gruppi editoriali).

Sul piano politico, da tempo il più critico sul Recovery-plan è Matteo Renzi con tesi non lontane da quelle confindustriali; inoltre Italia viva ha chiesto fondi per il ponte sullo stretto di Messina e ha contestato il Reddito di Cittadinanza che, invece, secondo la Corte dei Conti (organo istituzionale severo) ha evitato la povertà assoluta ad oltre un milione di famiglie, con tre milioni di componenti, con un contributo mensile sui 500 euro (in precedenza il reddito di inserimento del governo Gentiloni era sui 300 euro, con una platea ridotta).

Ma è tanto sbagliato voler conciliare le esigenze produttive con quelle della solidarietà, riducendo le diseguaglianze? Può scandalizzare un contributo di 500 euro mensili in una società in cui i dirigenti imprenditoriali guadagnano 132 volte il salario medio di un lavoratore?

L’economia di mercato non può estraniarsi dalle esigenze della giustizia sociale, anche per non accrescere la società dello “scarto” di cui incessantemente parla – a ragione – Papa Francesco.
Ora la crisi politica è nelle mani di Mattarella, ma la strada della soluzione è strettissima perché permane lo stallo nei partiti. M5S, Pd, Leu ribadiscono il sostegno al Conte-ter, ma l’apporto del nuovo gruppo centrista dei “Responsabili” (10-12 senatori) non è sufficiente per garantire una efficace governabilità.

La svolta può venire da Italia viva e da Forza Italia, perché Salvini e la Meloni hanno rinnovato la richiesta di andare subito al voto. I renziani sono in attesa, anche per i contrasti interni seguiti al brusco passaggio dall’astensione all’opposizione sulla politica della giustizia; non pongono nuovi veti a Conte, ma sperano in un altro premier (tifano per il grillino Di Maio, per mettere in difficoltà sia il Pd sia i Pentastellati).

Più complesso l’atteggiamento di Forza Italia: differenziandosi da Lega e Fratelli d’Italia, Berlusconi ha proposto un governo di unità nazionale, europeista, incontrando il no di Salvini-Meloni, ma anche di Pd-M5S-Leu per le posizioni sovraniste di Lega e Fratelli d’Italia. Tra i forzisti un gruppo di deputati e senatori appare a disagio per l’alleanza con la destra: uscirà allo scoperto per il Conte-ter o resterà silenzioso?

Nell’ipotesi di un fallimento del nuovo Governo Conte, la linea più accreditata negli ambienti politici è quella di un Governo “di scopo” tecnico-elettorale, per gestire l’emergenza e portare al voto entro settembre; per guidarlo si fanno i nomi dell’economista Carlo Cottarelli e della giurista Marta Cartabia, mentre Mario Draghi sarebbe disponibile soltanto per soluzioni di più ampio respiro.
Anche il voto, con tutte le riserve in tempo di pandemia, metterebbe in difficoltà il sistema politico e non solo per l’attuale legge bi-fronte, proporzionale e maggioritaria (25%).

Il centro-destra come potrà conciliare l’europeismo di Berlusconi con il sovranismo dei due partiti alleati? E il centro-sinistra Pd-M5S-Leu imbarcherà nonostante tutto Renzi e Calenda o andrà da solo allo scontro elettorale? Con quali prospettive?

Per il bene del Paese è augurabile che l’autorevole Mattarella trovi uno spazio di mediazione tra le forze politiche, superando i troppi giochi di potere, i personalismi, gli interessi ristretti di gruppo. Per l’immediato è essenziale che le Camere, nonostante la crisi, approvino il nuovo decreto per i ristori, come hanno fatto per lo scostamento del bilancio dello Stato, garantendo soccorsi rapidi alle migliaia di persone e aziende colpite dalla pandemia. Analogamente va sostenuto il piano vaccinale, contro le inadempienze delle case fornitrici, americana e inglese.

Dopo un anno di lotta al virus, un Paese legittimamente stanco e in ansia non merita di soffrire ulteriormente per l’incomunicabilità della classe politica.