(Mario Berardi)

Dopo gli interventi urgenti per l’emergenza Coronavirus, i partiti tornano a dividersi al loro interno sulle prospettive future, anche perché si attendono ingenti risorse dall’Europa.

Nel Pd il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, già renziano, ha sferrato un duro attacco al segretario Zingaretti, chiedendo il Congresso e una nuova leadership di aria liberal-democratica. Ma in casa Dem scalpitano da tempo il presidente dell’Emilia-Romagna, Bonaccini, ex Fgci di tendenza laico-socialdemocratica e l’attuale vice-segretario Orlando, già esponente della sinistra socialista.

Lo stato maggiore del partito ha fatto quadrato su Zingaretti e sulla difesa del Governo Conte, ma le questioni politiche complessive urgono e vanno ben oltre la discussione pro-contro la riduzione dell’Iva (giustamente stoppata dal Governatore Visco che ha chiesto un progetto globale di riforma fiscale, non misure-tampone).

Il Pd deve interrogarsi (con il suo 20%) sulle alleanze e sulla sua collocazione nella società: l’accordo con i Grillini è temporaneo (per l’emergenza pandemia e per fermare Salvini) o c’è una prospettiva di collaborazione a più vasto raggio?

Sul programma i Dem si pongono su una linea radical-socialista (dai temi sulla famiglia al ruolo dei corpi intermedi) o c’è un nuovo spazio per la cultura di radici popolari espressa dal filone cattolico-democratico, insieme al ruolo dello Stato per la giustizia sociale (tema molto caro anche alla variegata tradizione socialista)? La scelta di questa tematica appare molto più importante della discussione (molto anticipata) sui nomi.

Problemi non meno significativi coinvolgono il Movimento 5Stelle, ove lo scontro aperto tra le correnti sta frenando alcune essenziali scelte di governo, dal Mes ai contributi alle scuole paritarie (i Pentastellati stanno bloccando un’iniziativa Dem-Italia Viva per evitare il tracollo di molte scuole paritarie, duramente colpite dal Coronavirus).

I nodi dei Grillini riguardano la politica estera e l’Europa, la scelta (da rinnegare?) della decrescita felice in tempi di crisi e, dulcis in fundo, la questione delle alleanze: tenersi le mani libere (e puntare a una nuova legge elettorale proporzionale) o scegliere definitivamente l’alleanza di centro-sinistra dopo la parentesi (non felice) del governo con Salvini?

Infine quale assetto dirigente: con i pieni poteri al fondatore Grillo o con elezioni (attraverso il metodo Rousseau – piattaforma digitale diretta da Casaleggio jr o con un’ampia consultazione della base, come gli altri partiti politici?).

Il travaglio è analogo e diverso nel destra-centro, e non solo sul Mes.

Nella Lega è ormai evidente la contesa tra Salvini e la componente moderata guidata dal presidente della Regione Veneto, Zaia e dal numero due del Carroccio, Giorgetti. La minoranza leghista accetta apertamente l’Europa (che tuttavia “deve cambiare”), negando di fatto il sovranismo salviniano (ulteriormente indebolito dagli ostacoli che alcuni Paesi nazionalisti pongono agli aiuti agli Stati del sud, a cominciare dall’Italia).

I moderati leghisti guardano a una rinnovata intesa con Forza Italia e diffidano dell’alleata Meloni, troppo legata all’eredità dell’ex Msi. Non è un mistero che alcuni media confindustriali stiano tifando per Zaia, sognando un Governo di unità nazionale (con Draghi o altri tecnici).

Il Paese esige che il dibattito interno ai partiti esca dal “politichese” per assumere orizzonti chiari e di ampio respiro sul futuro della società. Un permanente stato di debolezza del Governo non conviene a nessuno, né servirebbe una legge elettorale interamente proporzionale per andare alle urne in primavera, con mani libere per le forze politiche: si riproporrebbe la confusione politica dell’attuale legislatura, che ha visto due governi – uno di destra-centro e uno di centro-sinistra – con lo stesso presidente del Consiglio.

I programmi e le alleanze vanno definiti in tempi rapidi, senza ambiguità, non litigando ogni giorno su qualsiasi provvedimento. E anche il chiacchiericcio anticipato sul successore di Mattarella (il cui mandato presidenziale scade a febbraio 2022) appare un debole diversivo davanti alla gravità delle scelte da compiere, passando dall’overdose di annunci a fatti concreti tramutati in leggi.

I partiti politici – strumenti essenziali, per la Costituzione, per la vita democratica – sono chiamati a una grande prova di responsabilità, con una priorità alle istituzioni che dia speranza e fiducia a sessanta milioni di italiani.