(Susanna Porrino)

Seppur per ora solo accennata, la prospettiva di un nuovo lockdown nei prossimi mesi sta provocando l’insorgere di un senso di ansia e angoscia anche maggiore rispetto alla “prima ondata”.

Privati anche del filtro della paura per una malattia sconosciuta, alimentato da televisione e media durante la prima fase e dissoltosi lentamente nella tregua estiva durante cui il numero delle morti e le immagini degli ospedali sovraffollati apparivano solo come un brutto ricordo, oggi la prospettiva di nuove restrizioni appare solo come un fallimento delle misure adottate in primavera e la ripetizione senza soluzione di un episodio sgradevole e deleterio per l’aggravamento delle sue conseguenze.

A tale senso di sconforto, di fronte a cui purtroppo non si possono offrire garanzie di nessun tipo, alcuni psicologi hanno suggerito come unica risposta la fiducia nella capacità dell’uomo di adattarsi rapidamente e con grande flessibilità anche alle situazioni difficili, capacità che è già all’opera da diversi mesi e che anzi ha comportato profondi cambiamenti nel nostro modo di vivere.

Effettivamente, pur provenendo da un periodo di sollievo in cui sembrava che l’emergenza si fosse esaurita, stiamo comunque sempre più costruendo attorno a noi un mondo di dinamiche e atteggiamenti nuovi che assumono i tratti di abitudini ormai consolidate.

Credo che più di uno di noi abbia sperimentato almeno una volta, durante la visione di un film o di un’immagine pre–pandemia, una leggera sensazione di straniamento guardando a personaggi che si muovono con disinvoltura e privi di qualunque precauzione in luoghi chiusi e sovraffollati, che lamentano in pubblico un raffreddore o che partecipano a eventi dal pubblico innumerabile che oggi non può essere neanche lontanamente concesso.

Per quanto si possa essere trasgressivi o negazionisti, le immagini che ci troviamo continuamente davanti agli occhi e le limitazioni che in ogni caso siamo costretti ad affrontare nell’organizzazione delle nostre giornate stanno lentamente modellando quella che era la nostra percezione della normalità.

Anche l’idea con cui siamo cresciuti di essere detentori di una libertà senza limiti e senza esclusione è costretta a scontrarsi con un senso di impotenza e angoscia di fronte al pensiero di un eventuale nuovo lockdown, che non ci lascia altra scelta se non quella di rinunciare nuovamente alla possibilità di spostarci e interagire senza restrizioni.

Anche dal punto di vista sociale, non solo la paura del futuro e il senso di diffidenza e sospetto che ci spinge ad essere cauti nel contatto con gli altri andrà a minare sempre di più il nostro naturale bisogno di relazioni più libere e profonde.

Interi gruppi della società saranno costretti a cambiare radicalmente le proprie abitudini e i propri comportamenti rendendosi i maggiori testimoni futuri del periodo che abbiamo vissuto.

Penso per esempio ai bambini più piccoli, che guardando alle proprie maestre con tanto di mascherina e casco in plexiglass dovranno imparare a pronunciare le parole intuendo da sé il movimento delle labbra nascoste dietro la stoffa, e diventeranno invece esperti nel comprendere e comunicare attraverso l’espressione degli occhi; o a chi presenta gravi difficoltà e patologie all’udito, e aveva trovato nella interpretazione del labiale un metodo efficace, forse l’unico, per non essere completamente escluso da una realtà in cui la relazione con i propri simili è dominata da un linguaggio fatto di suoni e rumori.

Pur contro il nostro volere, siamo diventati protagonisti di un pezzo di storia su cui abbiamo purtroppo una possibilità di potere e controllo limitata. Se fatichiamo a prevenire e rimediare alla criticità della situazione presente, ancor più fatichiamo a pensare di riuscire a gestire i danni che arriveranno in futuro.

Tuttavia, se razionalmente ciò che stiamo vivendo non può che generare angoscia e scoraggiamento, lo stesso istinto che per milioni di anni ha permesso all’uomo di sopravvivere anche in situazioni più estreme della nostra si sta oggi risvegliando e sta rivelando una capacità di adattamento che forse un anno fa non avremmo potuto immaginare di avere, dandoci la speranza che, nell’augurio che questa esperienza si concluda il prima possibile, ugualmente saremo in grado di rialzarci in piedi.