Non c’è fila all’ingresso dei Musei Vaticani: occasione eccezionale, da non perdere.
Inizio dal mondo classico, dove trovo splendide sculture che celebrano il corpo umano plasmato in una perfezione di forme che lascia stupefatti. Seguono il museo egizio gregoriano, con antichissimi sarcofagi. Mi colpiscono alcune pergamene del libro dei morti, che in realtà è il “libro per uscire nel giorno”. Anche il museo etrusco è dominato dalle statue funerarie che segnano la volontà e il desiderio di durare per sempre. Come la “dama del Vaticano”, giovane donna celebrata nel suo splendore in una straordinaria tela del III secolo. Le caratteristiche sculture di Assiri e Babilonesi celebrano gesta militari ed eroiche.
Massimo Decimo Meridio, il gladiatore, ci ricorderebbe: “Fratelli, ciò che facciamo in vita riecheggia nell’eternità”.
Anche una lunga sezione dedicata all’arte moderna, spesso in maniera drammatica come nella grande tela “No Names” dell’ungherese Alice Lok Cahana, sopravvissuta all’olocausto, grida il desiderio di felicità e l’anelito a vivere per sempre.
Tutto questo drammatico cammino si compie nello splendore della Cappella Sistina, dove un tripudio di colori e di immagini maestose e drammatiche raffigurano, grazie al genio di Michelangelo, accompagnato da altri grandi artisti italiani, il realizzarsi del desiderio di ogni uomo di ogni tempo: essere accolti nell’eternità.
La stessa sera, nell’oscurità della notte gelida, sotto i colonnati, ecco un altro spettacolo. Alcune giovani ragazze si piegano sui “barboni” che prendono il loro posto per la notte, condividendo con loro una bevanda calda e una focaccia.
Ho ricordato che il Papa aveva invitato 100 barboni a cena, organizzando una visita guidata, solo per loro, dei musei e della Cappella Sistina. Guardando le braccia delle ragazze che raggiungevano le mani dei barboni, ho immaginato il Papa che versava il minestrone nel piatto del barbone e allo stesso tempo il particolare del “gruppo del rosario” del Giudizio Universale, dove un amico trascina chi non ce la farebbe, verso il paradiso.
Ritornando all’ostello, la mia mano sgranava le ave del rosario, pregando affinché nessuno sia mai solo nel cammino umano verso l’infinito e la vita. Ci sia sempre qualcuno che ci tiri su. Oggi.

Filippo Ciantia