(Editoriale)

Il Consiglio d’Europa – che non va confuso con le Istituzioni dell’Unione Europea, come il Consiglio dell’Unione europea (consiglio dei Ministri) o il Consiglio europeo (i Capi di Stato o di Governo degli Stati membri dell’Ue, con il suo presidente e il presidente della Commissione europea) – è “estraneo” all’Unione Europea, ma non per questo ininfluente. Dal 5 maggio 1949, quando fu fondato, ad oggi, le sue finalità si sono modificate secondo le esigenze del momento, arrivando, con il passare del tempo, dai primi 10 agli attuali 47 Stati membri, di cui 27 fanno parte dell’Unione Europea. Se nel 1949 lo scopo del Consiglio d’Europa era quello di evitare il ripetersi delle brutture della seconda guerra mondiale, nel 1989, nel 1993, nel 1997 e nel 2005 gli obiettivi hanno subito aggiornamenti ed ammodernamenti necessari alle situazioni contingenti, con un inevitabile sguardo sul lungo orizzonte: promuovere i valori fondamentali comuni come i Diritti dell’Uomo, lo Stato di diritto e la democrazia; rafforzare la sicurezza degli europei combattendo in particolare modo il terrorismo, il crimine organizzato e il traffico di esseri umani; sviluppare la cooperazione con altre organizzazioni internazionali ed europee.

Questa breve presentazione è necessaria, giusto per dire che il Consiglio d’Europa non è l’ultima ruota del carro delle Organizzazioni sovranazionali; sebbene le sue iniziative non siano vincolanti e vadano ratificate dagli Stati membri la sua parola indirizza, ispira, assiste, fornisce competenze, tutela…

E una “parolina” sui vaccini anche il Consiglio d’Europa ce l’ha messa. Anzi, ci ha messo una “risoluzione”, la 2361 del 27 gennaio scorso, intitolata “vaccini contro il Covid-19; considerazioni etiche, giuridiche e pratiche”. Una lista di 8 articoli, alcuni lunghi, altri con un considerevole numero di sotto-articoli, che sostengono – riassumendo molto – una rapida diffusione dei vaccini, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione equa dei vaccini, una immunizzazione che deve essere a disposizione di tutti, un monitoraggio dei vaccini e della loro sicurezza sul lungo termine per eventuali effetti avversi, una distribuzione delle dosi etica ed equa nell’ottica che un vaccino Covid-19 deve essere un bene pubblico globale. E altro ancora.

Il parlamento del Consiglio d’Europa ha guardato all’ampiezza del problema relativo alla vaccinazione contro il Covid 19 e le implicazioni etiche che l’avvolgono, dando indicazioni (e facendo anche informazione) a 360 gradi, facendo attenzione ad evitare ogni fraintendimento ideologico per chi, nel caso specifico, non vuole avvicinarsi alla vaccinazione.

Abbiamo tradotto dal testo francese della “risoluzione” 2361 quegli articoli che sfuggono all’informazione unidirezionale (e istituzionale) che non lascia spazio al confronto su un tema così divisivo. Qualcuno si è finalmente accorto che non si tratta di “No-Vax” irremovibili, ma di quel 25% di popolazione che è tuttora incerto, proprio a causa di una informazione che fin dal principio non è stata chiara e trasparente, incapace di mettere di fronte indicazioni e controindicazioni, vantaggi e svantaggi, utilità e inutilità dei vaccini, rispetto di chi aderisce alla campagna e uguale rispetto a chi la rifiuta.

Forse, se si fosse pensato a una comunicazione aperta al dibattito, invece che cancellarne automaticamente una parte di esso, oggi quel 25% potrebbe essere di molto ridotto; c’è, infatti, chi rimane in quel limbo di incertezza con notevoli pressioni di ogni genere per cambiare opinione.

Pressioni, non completezza di informazione. Oppure altre soluzioni oltre al vaccino sarebbero venute a galla nella missione comune di tutelare la salute pubblica, prima di ogni altra cosa. La “risoluzione” stigmatizza certi comportamenti che oggi vediamo affacciarsi all’orizzonte come arma di ricatto, preferiti alla comunicazione aperta e trasparente che ha creato proprio ciò che voleva sconfiggere, dando sentore di voler nascondere qualcosa.

Che cosa immagina la “risoluzione” per “garantire un alto livello di accettazione dei vaccini?” Ecco, tradotto dal francese: assicurarsi che i cittadini e le cittadine siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che le persone non abbiano a subire pressioni politiche, sociali o altro per farsi vaccinare, se non desiderano farlo personalmente.

Vigilare affinché nessuno sia vittima di discriminazione per non aver voluto vaccinarsi in ragione di potenziali rischi per la sua salute o per non aver voluto farlo spontaneamente. Adottare misure efficaci e rapide per lottare contro le false informazioni, la disinformazione e l’incertezza circa il vaccino contro il Covid 19.

Diffondere in totale trasparenza le informazioni sulla sicurezza e gli eventuali effetti indesiderati dei vaccini, lavorare e regolamentare le piattaforme dei social per impedire la propagazione di false informazioni. Comunicare in maniera trasparente i contenuti dei contratti con i produttori dei vaccini e renderli pubblici per l’esame dei parlamentari e del pubblico. Cooperare con le Organizzazioni non Governative o altre iniziative locali al fine di raggiungere i gruppi emarginati.

Avvicinarsi alle comunità locali per elaborare e mettere in atto strategie per facilitare l’accettazione dei vaccini.

Tutto qui. Ed è tanta roba, su un tema che è al centro dell’attenzione da mesi, ha creato allarmismi e preoccupazioni, speriamo non tensioni civili. Oggi si vuole raggiungere coloro che finora non si sono avvicinati alla vaccinazione: potrebbe essere più facile del previsto attraverso una comunicazione che, per la sua stessa ragion d’essere, non si accontenta di una voce sola, cerca la completezza dell’informazione, invita fronti opposti – autorevoli e riconosciuti – rimanendo sempre vigile su qualsiasi accenno di deriva sulle libertà costituzionali (e individuali).