L’Osanna e la Passione

Un grido di gioia sale da Gerusalemme: salvaci! Una folla in festa acclama Gesù che entra nella sua città.
Colui che viene nel nome del Signore, sceglie per manifestare la sua regalità un asino, compiendo così la profezia di Zaccaria 9,9: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino”.
Parte da Betfage, luogo di purificazione dei pellegrini. Da qui purifica ogni nostra falsa attesa su di Lui. Scende dal Monte degli Ulivi, da lì, secondo le Scritture, sarebbe venuto il Messia.
Manda avanti a sé due discepoli per procurargli ciò di cui ha bisogno: un puledro. Manifesta la sua prescienza, che conosce nei dettagli quello che sta per avvenire, e la sua povertà, che prende in prestito il bene altrui per manifestarsi.
Rimaniamo sorpresi da ciò di cui il Signore ha bisogno. Solo questa volta designa se stesso come ‘Signore’. In Gesù è Dio che avanza e che si serve di un umile animale, destinato a portare i pesi dell’uomo. In questa scelta cogliamo una sintesi del suo stile. Nessuno mai è salito su questo asino, ha cavalcato questo messianismo, scegliendo come sua gloria l’umiltà, come sua potenza l’amore, come suo dominio il servizio. I discepoli devono slegarlo, liberarlo perché possa servire.
I discepoli per primi gettano sull’asinello i loro mantelli, investono ciò che sono e ciò che hanno, e lasciano che Gesù ne prenda il possesso. Dopo di loro molti stesero i loro mantelli sul cammino, riconoscendolo re. Solo più tardi capiranno che la sua regalità si manifesta in modo scandaloso.
Il grido di gioia iniziale si spegne nel silenzio, a tarda sera, quando Gesù entrando nel tempio guarda ogni cosa attorno e si ritira a Betania. Nel silenzio iniziano i suoi ultimi giorni, in cui si compirà la nostra salvezza.
Come disse sant’Andrea di Creta, imitiamo anche noi coloro che gli andarono incontro, per stendere in umile e profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Gridiamo al Signore di salvarci, di slegare la nostra vita, di entrare nell’ombra del nostro egoismo, di sollevarci e ricondurci a sé.

Monica Ferrero

 

Mc 15, 1-39 Forma breve

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco
Al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?».
Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose.
Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.
A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a  chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia.  Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché,
piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?».  Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!».  Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?».  Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!».  Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa.  Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui.
Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. Costrinsero a portare la croce di lui un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso.  Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti,  con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo,  il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi  con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo.  Il centurione, che si trovava di fronte a lui,  avendolo visto spirare in quel modo, disse:  «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».