In questo brano di Vangelo, Marco ci presenta Gesù che parla del Regno di Dio tramite l’utilizzo di due parabole: “senza parabole non parlava loro”. Il linguaggio scelto da Gesù è un linguaggio semplice, diretto, che si serve di similitudini.
Il Regno di Dio viene paragonato a un contadino che getta il seme nel campo e poi continua la sua vita quotidiana, aspettando il momento della mietitura.
La similitudine utilizzata, pone in contrasto il tempo del contadino, un tempo brevissimo che riguarda semina e mietitura, ed il tempo della crescita del seme, un tempo lungo in cui tutto si svolge per forza propria, a prescindere dalla volontà di chi semina.
L’uomo non fa, ma accoglie il Regno, che supera la sua logica; questa non si può ridurre a schemi limitati, è una realtà che si sviluppa per opera di Dio. Sia che “vegliamo o che dormiamo” il seme cresce e solo dopo che questo ha dato pieno frutto può avvenire la mietitura.
Il momento giusto per il raccolto lo sa solo Lui, a noi sta la scelta di coglierlo o meno; ci viene chiesto un vero e proprio atto di fiducia per saper stare dentro alla sua prospettiva, che supera ogni aspettativa. La parabola non è un invito ad un’attesa pigra, bensì una proposta di speranza che si fonda sulla promessa efficace di Dio: se il seme è gettato, è garantito il raccolto.
Nella seconda parabola, Gesù presenta il Regno di Dio come l’evoluzione di un granello di senape, il “più piccolo di tutti i semi” che possiamo trovare sulla terra.
La piccolezza del seme e la grandezza dell’albero, che da questo nasce, suggeriscono di guardare al domani con un orizzonte grande nel cuore, non per consolarci della mancanza di senso dell’oggi, ma per scoprire il senso che già appartiene all’oggi. Infatti, non è l’albero che dà forza al seme, ma viceversa. L’albero fa semplicemente comprender la forza che il seme già possiede in se stesso.
Ancora una volta l’unità di misura di Dio ribalta i nostri canoni: Lui, immenso, si fa ultimo degli ultimi e il più piccolo tra i piccoli.
Se ci pensiamo bene, quando Dio è stato il “più grande”? Quando si è fatto così piccolo da morire per noi. Quando si è fatto così piccolo da lasciarsi inchiodare su una croce! Perché non dobbiamo mai dimenticarci che il Dio in cui crediamo è morto per noi. Non dobbiamo mai dimenticarci che la sua grandezza sta nell’essersi fatto così piccolo.
Andare secondo i tempi di Dio significa santità, significa farsi piccoli (farsi i più piccoli) per essere, secondo la logica di Dio, grandi. Sta a noi decidere come vivere: secondo le nostre logiche, limitate ma comode, o secondo le logiche di Dio, incomprensibili, ma illimitatamente belle! Come? Fidandosi, affidandosi. Aspettando, con speranza. Accogliendo, con gioia!
Solo facendoci piccoli e lasciandoci meravigliare dalla potenza del Regno di Dio, solo così possiamo divenire grandi ed essere riparo per “gli uccelli del cielo”, riparo per la Fede dei nostri fratelli.

Cristina Simoncini – Animatrice
Istituto Missionario Salesiano
Cardinal Cagliero

(Mc 4,26-34) In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.