IV DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)
Andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
(Diacono Marco Florio)
Quando incontriamo Gesù la nostra vita cambia, solo se sappiamo riconoscerlo. Il Vangelo di Giovanni ci propone la figura del cieco nato. Siamo nel periodo della festa di Sukkot dove, oltre il segno dell’acqua, era ricordato il segno della luce con cui Dio aveva rischiarato il suo popolo nell’esodo. Anche Gesù partecipava alla festa e uscendo dal tempio avviene l’incontro con il cieco nato. L’infermo non chiede nulla. È Gesù che ferma il suo sguardo su di lui.
È Gesù che prende l’iniziativa, come col paralitico, come nella moltiplicazione dei pani. È lui che guarda per primo l’uomo.
Gesù viene interrogato dai suoi discepoli sull’infermità del cieco nato, proprio perché i giudei avevano una risposta dogmatica per situazioni analoghe: un male congenito si spiega con un peccato anteriore alla nascita, un peccato degli antenati. Ma chi ha peccato?
È un po’ la domanda di senso che risuona nelle corsie degli ospedali: che male ho fatto per meritarmi questo castigo? Gesù senza negare un rapporto fra la sofferenza umana e il peccato, risponde che né lui né i suoi genitori hanno peccato! Gesù si rifiuta di collegare la malattia con un peccato preciso. La malattia e la morte sono nel “piano” di Dio.
Il cieco rappresenta la condizione naturale dell’uomo: il cieco nato è nell’oscurità anche se non ha peccato. Il cieco non chiede niente a Gesù perché sa che è la sua condizione creaturale che non permette di vedere. Quello che Gesù fa è un gesto di nuova creazione. Non chiede al cieco la fede, ma opera in lui la guarigione. Gesù lo manda alla fontana di Siloe. È sabato. È Gesù l’inviato, e Lui non chiede la fede ma l’obbedienza. Il cieco riacquista la vista. Chi lo ha conosciuto prima e lo vede dopo, ignora la provenienza del dono, ma è costretto ad ammettere che qualcosa è successo. Anche il cieco nato non sa darsi spiegazioni.
In questo frangente in lui non emerge la fede. Al massimo riconosce che Gesù è un profeta. Gesù non ha osservato il sabato. L’impastare è una delle trentanove opere vietate nel sabato dalla Mishnah.
Gli interrogatori al cieco nato si susseguono. Vengono chiamati anche i suoi genitori. Nella Sinagoga per l’udienza finale e il giudizio, i giudei, ordinano al cieco “di dare gloria a Dio”, formula solenne per mettere uno in stato d’accusa. Il cieco passato dalle tenebre alla luce, li ammaestra e rende la vera gloria a Dio: “… . Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”.
Riconoscere Gesù Figlio di Dio significa accettare di essere rifiutati come lui. Il cieco guarito è scacciato dalla sinagoga. Cristo lo raggiunge quando egli si trova in questa situazione. Il cieco guarito ora è un povero e un emarginato, ma nello stesso tempo è un mite, un paziente e un puro di cuore.
Solo ora Gesù può proporgli l’atto di fede, cioè che Dio gli è vicino: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.” Ora il cieco è veramente guarito: vede la vicinanza di Dio.