(Cristina Terribili)

Non dovremmo mai perdere uno sguardo critico nei confronti di ciò che ci circonda, delle nostre azioni, dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.

Dovremmo poter andare sempre un po’ al di là del nostro naso e chiederci a quale bisogno risponde un nostro comportamento oppure perché certi pensieri od emozioni ci mettano in soggezione. Dovremmo imparare a chiederci cosa c’è nella nostra vita che non ci soddisfa abbastanza e se le azioni che stiamo mettendo in atto sono sufficienti, adatte, utili a risolvere nodi o a incoraggiarci verso percorsi nuovi.

Dovremmo sempre camminare con un occhio interno vigile, capace di monitorare i nostri passi verso percorsi e soluzioni in grado di illuminare il nostro essere, capaci di renderci abili nel fare scelte che ci rendono sempre in equilibrio nel mondo circostante, che ci possano rimandare alle nostre responsabilità e al modo in cui noi ci sentiamo capaci di gestire le sfide che la quotidianità ci propone.

Se io sono responsabile di me stesso allora io posso scegliere, posso cambiare, posso usare la mia testa, il mio cuore, le mie conoscenze, le mie consapevolezze, per riuscire a gestire quello che accade intorno a me e a chi mi è caro. Nei limiti del possibile, ovvio, ma posso farcela.

Di contro, se nascondo la polvere sotto il tappeto, se cerco sempre una scusa all’esterno, se attribuisco i miei insuccessi tanto quanto rischio di far attribuire i miei successi a qualcosa o a qualcuno di esterno a me, rischio di non poter mai essere sicuro di ogni mio passo, di non essere in grado di prevedere la direzione del mio cammino, rischierò di sentirmi sempre confuso o in pericolo, cresceranno le ansie e l’esigenza di mettere in atto azioni di controllo fallimentari, perché non sarò mai in grado di poter tenere sotto controllo tutto e tutti.

Che cosa c’entra tutto questo con “Squid Game”, la serie coreana che tanto sta facendo discutere e preoccupare? Potremmo dire che, alla fine della fiera, questo è uno dei messaggi all’interno della serie, però ha molto più a che fare con le azioni di quelle associazioni di genitori che hanno proposto di “fermare squid game” poiché, come riporta il quotidiano cattolico Avvenire, “risponde alla necessità di far fronte alla sconfitta del parental control e della crisi della genitorialità”.

“Squid game” non è né più né meno violento di altre serie televisive, non ha particolari elementi di innovazione. Anche nel videogioco “Fortnite” alla fine “ne resterà solo uno”, eppure ci sono tantissimi genitori che permettono ai propri bambini di acquistare online armi o “skin” per acquisire più forza e sopravvivere.

Se il problema è la crisi genitoriale che non riesce a dialogare su cosa sia giusto o sbagliato, sui valori condivisi, sul rispetto di sé e dell’altro in quanto uguale e diverso da sé, siamo sicuri che cancellando una serie televisiva abbiamo risolto il problema?

Siamo sicuri che lasciando i bambini fuori dalle regole e dal controllo dell’adulto che li accudisce stiamo crescendo generazioni capaci di confrontarsi ad un livello differente da quello “animale”?
Siamo sicuri che non ci sia invece bisogno di un dialogo di qualità, capace di spiegare il perché delle cose, in grado di sviluppare scelte più consone, in grado di poter arricchire il proprio vocabolario di termini consoni per l’espressione dei diversi stati emotivi?

Siamo sicuri che non ci sia bisogno di più attività ludiche, magari insegnando ai bambini a giocare, divertendosi con loro e magari scoprire che ci sono istituti di ricerca sul gioco (come il Game Science Research Centre di Modena), impegnati a studiare e sollecitare tutti, genitori, educatori, giocatori di tutte le età, al tema dei giochi e scoprire che esistono molti giochi cooperativi così come ci sono tanti giochi che consentono l’approfondimento di temi scientifici ancorché sociali?

In questo 2021 “Arancia Meccanica” ha compiuto 50 anni. Il film di Kubrik è ancora vietato al cinema in Gran Bretagna ed in molti altri Paesi nel mondo. Fu il regista stesso a chiedere, dopo essere stato ripetutamente minacciato, di far ritirare il film. Così come “Squid Game”, anche “Arancia meccanica” era un film che denunciava la società del momento, la deriva possibile di alcuni sistemi.

La violenza diventa secondaria alla denuncia sociale se sappiamo osservare, se arriviamo fino alla fine di quello che vediamo, se accettiamo di vivere anche quello che ci mette a disagio, come adulti e ci assumiamo direttamente il compito di proteggere i bambini da immagini non idonee: prima di tutto parlando con loro.