(Doriano Felletti – Fabrizio Dassano)

Il 21 aprile 1924, cento anni fa, moriva a Pittsburgh, mentre si trovava in tournée, Eleonora Duse. La morte sopravvenne all’età di 65 anni a causa di una polmonite, anche se il suo fisico era già da diversi anni minato dalla tubercolosi.

Nata a Vigevano il 3 ottobre 1858 da una famiglia di teatranti, debuttò a soli quattro anni di età interpretando Cosetta in una riduzione scenica de “I miserabili”. Nel 1878, appena ventenne, recitò a Napoli nella Compagnia stabile del Teatro dei Fiorentini e alcune sue interpretazioni, quale la “Teresa Raquin” di Emile Zola che ebbe venti repliche, destarono l’interesse del pubblico. Nel 1879 entrò nella Compagnia semistabile Città di Torino, diretta da Cesare Rossi; da quel momento legò il suo nome alla città e, in seguito, anche al Canavese: l’anno successivo, infatti, incontrò Giuseppe Giacosa.

La Duse fu la prima interprete del personaggio di Bona di Berry ne “Il Conte Rosso”, messo in scena per la prima volta il 22 aprile 1880 al Teatro Carignano in occasione dell’Esposizione nazionale delle Belle Arti.

L’esordio della malattia fu precoce e pertanto la Duse alternava, ai successi sui più grandi palcoscenici italiani, momenti di riposo per ritemprare corpo e mente. Così, nei mesi di agosto e settembre del 1884, proprio per godere della salubrità dell’aria e delle acque, soggiornò, insieme al marito Tebaldo Marchetti, detto il Checchi, a Brosso Canavese. Fu Giuseppe Giacosa stesso a individuare “il luogo delizioso”, non distante da Colleretto Parella (oggi Colleretto Giacosa) dove egli risiedeva: un mattino di primavera, la signora Lucia Garavetti, proprietaria del Casale del Caudano, non lontano dal centro del paese, lo vide arrivare salendo per i boschi alla ricerca di una sistemazione per la grande attrice che aveva temporaneamente dovuto sospendere la propria attività: “l’emozione della scena mi ha prostrata”.

La Duse passò l’estate a Brosso: accompagnata da Vincenzo, il figlio di Lucia che fu poi maestro elementare in Valchiusella, si recava a bere l’acqua ferruginosa presso una fonte della zona e faceva brevi passeggiate, intervallate da pause fino a quando, per non stancarsi, decise di spostarsi sul dorso di un asinello. Una scala in pietra portava al primo piano del Casale, dove si trovava la sua stanza da letto: “sono qui sola, nel vano di una piccola e bassa finestra a inferriata […] e dove appoggio i gomiti e i pensieri”. Paola, figlia di Piero Giacosa la descriveva “piccola, magra, con i capelli d’argento senza un’onda, sempre tirati all’indietro, e il volto fine, senza cipria, che era mutevolissimo, ora indicibilmente intenso, ora stranamente muto”.

A Brosso, la Duse trovò conforto: “da quest’altezza modesta e pur considerevole, da questo profumo, l’odore puro, direi immacolato, della montagna, da questo verde che riposa l’occhio irritato dalla luce del gas della città, da quest’aria che rimette a nuovo i polmoni affaticati e calma le febbri sorde che dà il contatto con la città […], mi sento rinascere buona, senza pretese, con poche vesti, con pochi quattrini, con molte idee”. Riceveva le visite di Giuseppe e di Piero Giacosa, ma anche di Giovanni Verga, di Davide Calandra e, soprattutto, di Arrigo Boito. Egli conobbe la Duse nel mese di maggio, mentre era a Superga in compagnia di Giuseppe Giacosa e di Giovanni Camerana; i due ebbero una storia d’amore durata sette anni.

Il riposo di Brosso del 1884 coincise con una particolare situazione in casa Giacosa poiché il drammaturgo si poneva l’obbiettivo di vedere sul palcoscenico la “Resa a discrezione” e “L’Onorevole Ercole Mallardi” in occasione dell’Esposizione Universale di Torino ma, in una lettera all’amico poeta e scrittore Antonio Fogazzaro del 23 maggio, si capiva che le commedie erano ancora in gestazione. Il fratello Piero inoltre era bloccato a Parella malato d’itterizia e con disturbi cardiaci e Giuseppe Giacosa approfittò della cosa per stargli vicino, lontano dalle distrazioni torinesi per concludere le commedie. Le terminò il 13 luglio, come scrisse a Fogazzaro. Ma la salute della Duse pose un freno al progetto: “Ahimè, non andranno in scena prima dell’ottobre. Alla prima prova la signora Duse è caduta malata e dovette smettere affatto di recitare”.

Terminata l’estate, la Duse lasciò il Casale del Caudano: “Addio Brosso, a te devo la mia salute”. L’8 ottobre Giacosa scriveva a Fogazzaro da Parella: “Arrivai stamattina e riparto fra poche ore per Torino, dove mi chiamano le prove dell’Ercole Mallardi. Final-mente, se Dio vuole, vado in scena. La Duse fu tre mesi malata e non riprese le recite che il 1° ottobre, e a me non conveniva arrischiare il lavoro con un’altra attrice né pareva pietoso privare quella poveretta del piacere di rappresentarlo per la prima”.

Il 20 ottobre 1884 ci fu la prima al Teatro Cari-gnano e fu un fiasco anche se, a detta di Giacosa, l’interpretazione della Duse fu “perfetta”, ma la commedia ebbe successo invece al Teatro Manzoni di Milano. Nel 1887, l’attrice fondò una propria compagnia e, nella prima stagione teatrale da lei curata, portò al trionfo “Tristi amori”, dopo l’insuccesso della prima romana del 25 marzo 1887.
Eleonora Duse ritornò in Canavese nelle estati degli anni 1888, 1889 e 1890, insieme ad Arrigo Boito: Francesco Ruffini consigliò alla coppia l’ex convento di San Giuseppe, situato sul colle Albagna nel parco naturale dei cinque laghi, “gran casa santa, alta e serena e veramente romita”, quale nido d’amore per i loro incontri. La sua stanza era situata al primo piano e dal balcone godeva della vista di quell’angolo di Canavese, “il colore dell’aria più vicino al sole”.

Il rapporto di amicizia e collaborazione artistica con Giuseppe Giacosa durò undici anni. Il 14 ottobre 1891, l’ultima tappa del sodalizio fu la rappresentazione della traduzione italiana in cinque atti “La signora di Challant” al Teatro Carignano di Torino.