(Susanna Porrino)
Ha fatto molto rumore in queste settimane la notizia della vicepreside del liceo Socrate di Roma, che ha invitato alcune studentesse in minigonna ad indossare gonne più lunghe per evitare sguardi inopportuni da parte dei docenti maschi e dei propri compagni.
Già la scorsa settimana ho scritto della narrazione generalizzante in cui tale affermazione si colloca: narrazione incentrata sul conflitto tra il mondo maschile e quello femminile e sul bisogno di alimentare tra essi il senso di divisione e pericolosità reciproca.
Vorrei stavolta soffermarmi sulle discussioni in merito alla necessità di “mantenere il decoro” in ambiente scolastico. Leggendo varie affermazioni in questo senso, mi è venuto spontaneo domandarmi se effettivamente la questione possa essere risolta attraverso una generale indicazione di “convenienza” rispetto a degli standard oltretutto molto poco definiti, o se invece non valga la pena tentare attraverso il dialogo una riflessione su ciò che spinge gli adolescenti a presentarsi in aula con un abbigliamento che, da un punto di vista pratico, è innanzitutto poco adeguato per il contesto in cui devono lavorare (posto che probabilmente gli studenti stessi sono in grado di riconoscere quali capi siano meno funzionali alla vita dietro i banchi, pur scegliendo ugualmente di utilizzarli).
Rischiando forse di causare il disappunto di chi sostiene che la cura della propria immagine sia una questione individuale e svincolata da ogni ricerca di consenso o approvazione, sono personalmente convinta che sia impossibile, ad oggi, che i bisogni istintivi e inconsci di appartenenza ed espressione di sé (finalizzata alla relazione con gli altri) non si orientino spontaneamente anche verso le nostre scelte nel campo dell’abbigliamenti e dell’estetica.
L’aspetto della cura della propria immagine e del proprio abbigliamento sono infatti diventati due punti così intrinseci nel panorama relazionale e nella percezione di sé da non poter più essere liquidati con un invito a mantenere un vestiario “decoroso”.
Specialmente in una realtà in cui il termine “decoroso”, oltre a rimandare in maniera poco allettante al puritanesimo e alle idee di rispettabilità dell’età vittoriana, suona fin troppo categorico per un’epoca in cui il rispetto della soggettività ha preso il sopravvento in qualunque campo della vita sociale.
Non è dunque possibile pensare di risolvere il problema dell’abbigliamento da tenere a scuola ad un livello solo superficiale, ignorando completamente quanto pesanti siano oggi le pressioni legate all’aspetto fisico ed estetico.
Il bisogno naturale ed inconscio di vedersi accettati e riconosciuti dai propri coetanei, tanto più in un’età come quella adolescenziale, è chiamato a scontrarsi con modelli di bellezza sempre più sofisticati ed artificiali alimentati dalla stampa, dai social, dalla tv e, occorre dirlo, anche da un consumo sempre più massiccio di un universo pornografico che non ha fatto altro che aumentare l’oggettivizzazione del corpo femminile e le aspettative nei confronti del modo in cui la donna, anche nella vita reale, si deve presentare per essere considerata accettabile e piacevole agli occhi dei propri simili.
Tali modelli vengono poi raccolti e incoraggiati da un intero mercato che ha trovato il modo di lucrare proprio facendo leva sul bisogno continuo di perfezionarsi (si vedano per esempio le industrie cosmetiche, ma anche il mondo dei filtri fotografici, della chirurgia estetica, ecc).
Se ad essere maggiormente promossa a livello mediatico è un’immagine, tra l’altro spesso considerata simbolo di emancipazione e di lotte ad un conservatorismo eccessivo, di donna che non teme di scoprire il proprio corpo e la propria femminilità, risulta quasi naturale che essa venga assorbita sempre più dalla cultura e dalla percezione delle generazioni più giovani, divenendo aspirato modello di normalità anche nella vita di ogni giorno contro cui difficilmente le imposizioni provenienti da figure più autorevoli hanno qualche potere.
Se questa evoluzione difficilmente può essere fermata, occorre però che nelle scuole e nelle famiglie si impari ad aprire un dialogo e una riflessione che renda in grado di analizzare i bisogni e le tendenze del nostro mondo contemporaneo in maniera più lucida di quanto ora non siamo in grado di fare; in particolare, come società abbiamo bisogno di imparare a rimettere in discussione, senza ovviamente negare, anche le libertà e i traguardi che abbiamo raggiunto, tentando di capire fin dove le nostre scelte siano guidate da un pensiero indipendente e dove invece inizi un pensiero collettivo da cui siamo costantemente influenzati.