Comunque vada ha già vinto la Vita (con la “V” maiuscola, per intenderci, quella che va al di là -anzi, al di sopra – di due semplici date, una per indicare la nascita e l’altra la morte). La Vita ha dato una lezione a medici, opinionisti, giudici e a quelli che l’autodeterminazione per cui battersi l’hanno orientata sempre sul poter decidere come, perché e quando morire e mai sul come e perché vivere. Due ostinati giovani genitori hanno tirato fuori tutta la loro forza d’amore per impedire che vincesse la cultura della morte, anche quando è imposta da una legge dello Stato in cui vivono.
La Vita ha dimostrato la sua grandezza davanti a quei canoni umani che troppo sovente e in ogni modo cercano di soffocarla. La Vita ha fatto saltare i protocolli, gli schemi, le convinzioni, le supposizioni; e sta mettendo in crisi persino il diritto di ingerenza dello Stato. La madre di Alfie aveva dichiarato nei giorni scorsi che la Vita del piccolo – che continua imperterrita, nonostante sia staccato dalle macchine – è già la dimostrazione che i medici si sbagliano.

Alfie è vivo. Girano immagini e video di Alfie che muove gli occhi, reagisce agli stimoli, respira malgrado il distacco dal ventilatore e con il solo uso delle cannule per l’ossigeno. E’ disabile, certo. Non migliorerà significativamente, ma è vivo. E non si può uccidere la Vita. Come non si può uccidere la speranza che Alfie rappresenta per se stesso e per tanti altri casi che ci sono nel mondo. La speranza che lui, inconsapevole, ma aiutato da due agguerriti genitori, ha trasmesso a milioni di persone, non andrà perduta come non andrà perduta quella carica di amore che sta ricevendo e che sta trasmettendo.
“Quanto è bello!”, dice la madre abbracciandolo. Chi tra noi avrebbe il coraggio di strapparlo da quelle braccia, certi che il suo “bene” è la morte, come affermano medici e giudici inglesi? Chi tra noi si lascerebbe strappare dalle braccia un figlio senza aver tentato l’impossibile davanti alla potenza della Vita e ai miracoli, che ancora accadono? Anche se al giorno d’oggi non è così comodo crederlo e affermarlo.

All’ostinazione terapeutica, qui è anteposta l’ostinazione anti-curativa, soprattutto dopo aver staccato le macchine, che dimostra come “le funzioni troncoencefaliche del bambino risultano ancora sufficientemente integre da consentirgli una respirazione autonoma, anche se non è possibile prevedere per quanto questa potrà continuare in assenza di un supplemento di ossigeno. Anche il suo cuore continua a battere, a testimonianza dell’assenza di una compromissione sostanziale del miocardio”. Lo afferma don Roberto Colombo, docente della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica e membro della Pontificia Accademia per la Vita, commentando la decisione “clinicamente ed eticamente sconcertante” presa dal giudice a Liverpool nei confronti di Alfie, e che non autorizza neppure il trasferimento in Italia. Nel nostro Paese, secondo Maria Pia Gara-vaglia, vice presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, “con il biotestamento, abbiamo una legge esplicita sul fine vita e, per quanto riguarda i minori, i titolari del diritto di scelta sono i genitori. E’ evidente che con l’acquisizione della cittadinanza italiana si applicherebbe la legge italiana, quindi sarebbero i genitori a potere e dovere decidere”.
Già perché ad Alfie, che compirà due anni il prossimo 9 maggio, è stata concessa la nazionalità italiana “in considerazione dell’eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare al minore ulteriori sviluppi terapeutici, nella tutela di preminenti valori umanitari che, nel caso di specie, attengono alla salvaguardia della salute”, si legge nelle motivazioni. Una decisione che, fino al momento in cui scriviamo, non ha portato ai risultati sperati di un celere trasferimento. Un aereo dell’aeronautica militare italiana è pronto a decollare in qualsiasi momento dalla pista di Ciampino, con un’equipe medica attrezzata, per portare Alfie all’ospedale Bambin Gesù di Roma. Ma medici e giudici inglesi hanno stabilito che avviare il bimbo alla morte era nel “suo migliore interesse”.

A questo punto sorge una domanda, soprattutto all’indomani dell’inattesa resistenza di Alfie: uno Stato democratico e moderno può ingerirsi, con i suoi interventi giuridici, fino a questo punto nella vita e nelle scelte intime di una famiglia? E, soprattutto, può farlo decretando di fatto la vita o la morte di qualcuno? Persino di un bambino incapace di intendere e di volere? Tutto sembra incomprensibile e disumano, spiegabile solo davanti ad una cultura che decide di dare preminenza alla morte piuttosto che alla vita, e lo fa soprattutto nei confronti di soggetti “fragili”, immaginati come un possibile peso sociale per lo Stato.
È davvero questo ciò che vogliamo per noi e per i nostri figli in avvenire? Se non lo vogliamo, diventa urgente impegnarci a rifondare nei nostri ambienti la cultura dell’accoglienza, della solidarietà, del “prendersi cura”, in particolare delle persone più deboli e fragili. Perché nessuna vita umana sia considerata “futile” da chicchessia e per questo avviata alla morte da decisioni altrui.

Carlo Maria Zorzi