(Fabrizio Dassano)

Non senza essersi lamentato a gran voce delle galline che da una settimana hanno smesso di fare le uova, il mio ex vicino mi ha esposto alcuni autorevoli pareri sulla legge di bilancio. L’ho incontrato al nuovo “Bar dei Reduci” aperto da poco qui vicino, mentre portavo il cane Penny a passeggio.

Davanti ad un buon caffè e tra le discussioni che vertevano sul pranzo di domenica ventura degli astanti (i quali richiamano più i membri di un circolo che degli occasionali avventori), mi ha detto che si è fatto una buona idea della nuova Finanziaria. Egli mi ha spiegato che tra le varie amenità figura la fine di “quota 100”: dopo quella perduta di quota 33 ad El Alamein nel 1942, si parla di “quota 102” entro il prossimo anno. Rimembro che il 227° fanteria comandato dal colonnello Palamenghi attraversava Gorizia appena conquistata per tentare l’assalto a due quote: la 95 e la 102, poste a sud est della città, nei pressi di Vertoiba (Vrtojba).

Ma quota 102 è difficile da prendere perché tra i nodi per la manovra da circa 23 miliardi pesa anche la questione previdenziale. Quota 100, il provvedimento introdotto nella manovra 2019 da Lega e M5s nel primo governo Conte, scadrà a fine 2021 e non verrà rinnovata. E si tornerebbe alla sola legge Fornero, un’ipotesi da scongiurare come una seconda Caporetto! Per questo sul tavolo c’è la proposta di una fase transitoria con Quota 102. L’ipotesi però non sembra piacere né alla Lega, che chiede più flessibilità e di mantenere per alcune categorie Quota 100, né al centrosinistra, che vorrebbe un meccanismo più selettivo di sostegno a chi svolga lavori usuranti e alle donne.

Poiché evidentemente parlare di leggi di bilancio non è il massimo per i frequentatori del “Bar dei Reduci”, la nostra attenzione si è spostata sul loro progetto di organizzare una cena amichevole tra tutti: procedendo alla sostituzione e alla eliminazione di due vocali, dalla finanziaria siamo così velocemente passati alla… finanziera! Il nome deriva dall’abito chiamato proprio “finanziera”, abitualmente indossato nel XIX secolo dai banchieri e dagli uomini di alta finanza, ai quali questo piatto piaceva moltissimo.

“Per prima cosa – ha pronunciato solennemente un signore con i baffi bianchi e un cappello da antico ufficiale d’artiglieria – bisogna sbollentare l’animella, togliere la pellicina e tagliarla a fettine, quindi tagliare a pezzetti i filoni, il filetto, la fesa e i fegatini, infarinandoli leggermente”. “A questo punto – proseguiva il dotto chef, mentre il barista cuoco prendeva affannosamente appunti su un tovagliolo di carta – bisogna sciogliere il burro in padella a fiamma bassa e ricordarsi di far rosolare le carni: quindi unisci le creste di pollo e le lasci sbollentare insieme al resto della carne. Ricordati di metterci il coperchio e cuocere a fiamma bassa, poi (e qui è seguita una lunga pausa per aumentare la drammaturgia dell’acquolina in bocca), dopo 20 minuti unirai i funghi tagliati a metà e farai cuocere tutto ancora per 20 minuti, mescolando di tanto in tanto. Qualche minuto prima di togliere dal fuoco devi unire l’aceto e il marsala, sfumare sul fuoco e poi spegnere il gas; dopodiché regoli di sale e ce lo servi in tavola ben caldo”.

Un brivido mi è corso lungo la schiena pensando alle galline nel pollaio…