(Fabrizio Dassano)

Riscoperta dallo scrivente nell’estate del 2004 negli archivi dell’Istituto Centrale per i beni Sonori e Audio-visivi, già Discoteca e Fonoteca di Stato di Roma del Ministero dei Beni Culturali, grazie ad un finanziamento per la ricerca del “Contato del Canavese” di Ivrea, si tratta di un prezioso reperto appartenente a quella straordinaria “biblioteca vocale” che conserva le voci registrate più antiche dei personaggi che hanno fatto la storia d’Italia.

La voce di Giuseppe Giacosa rappresenta un’importante testimonianza dell’uomo genuino, domestico, nella sua amata Parella (oggi Colleretto Giacosa) circondato dall’affetto del fratello Piero e da tutte le sue donne: moglie, madre, figlie, sorelle a cui era legato da profondi affetti familiari e da responsabilità economiche non indifferenti, avendo fin dall’inizio abbandonato la carriera d’avvocato per quella del drammaturgo, poeta, librettista e giornalista. Da un altro punto di vista quella registrazione fissa storicamente il valore della lingua: l’italiano per la sua arte ma il piemontese per il vivere quotidiano.

Tra le numerosissime voci “illustri” conservate, quella di Giuseppe Giacosa è tra le più antiche, incisa 121 anni fa da un grafofono, strumento nato negli U.S.A. e inventato da Thomas Alva Edison, strumento distribuito anche in Europa intorno al 1899. Con questo apparecchio che a prima vista ricorda il grammofono, è possibile incidere suoni e voci parlando attraverso la tromba. Le vibrazioni sonore raccolte sono convogliate sul fondo della medesima e concentrate su una lamella metallica molto sensibile a cui è fissata una puntina d’acciaio. Sotto la puntina scorre un rullo di gomma (come quello di una vecchia macchina da scrivere) che si sposta longitudinalmente a velocità costante tramite la forza di una molla da orologio precedentemente caricata. Sul rullo di gomma, viene inserito un cilindro dalla superficie esterna di gommalacca, solidale al rullo motore. La puntina incide così questo secondo rullo facendo una traccia continua a spirale intorno al cilindro. Una volta effettuata la registrazione, viene riportata la puntina all’inizio del rullo inciso, ricaricata la molla e la medesima tromba che serviva per registrare, riproduce il suono inciso sul rullo. Nelle intenzioni dell’inventore, che profuse impegno ed energia nella distribuzione in U.S.A. e in Europa, c’era la convinzione che il grafofono sarebbe stato uno strumento straordinario per i lavori d’ufficio, in quando avrebbe coadiuvato il lavoro della segretaria dattilografa, saltando la fase di stenografia manuale. Ma le previsioni non tardarono ad essere disattese. Rimase per qualche tempo uno strumento da divertimento casalingo per poi sparire.

Il 1900 per Giuseppe Giacosa (1847 – 1906) fu un altro anno vissuto intensamente nella sua fortunata carriera: l’anno prima aveva pubblicato “Impressioni d’America” dove narrava di quel paese visto durante la messa in scena della “Signora di Challant” allo Stand Theater di New York nella celebre interpretazione di Sarah Bernhardt, ma soprattutto aveva completato con Luigi Illica il libretto per la fortunata “Tosca musicata” da Giacomo Puccini. Il 1900 fu l’anno della svolta drammaturgica: al Teatro Man-zoni di Milano mise in scena con la Compagnia Tina Di Lorenzo il suo capolavoro del teatro di prosa: “Come le foglie”, una ricognizione di Giacosa sul mondo borghese in decadenza con lo scindersi di una ricca famiglia di un industriale colpita dal dissesto economico e costretta a ricostruirsi una vita. Giacosa aveva fondato l’archetipo della tecnica intimista, dove la viva rappresentazione di un fallimento avrebbe trovato la sua piena espressione soprattutto nel “Giardino dei ciliegi” di Cechov.
Ma per nulla distratto dai successi della sua professione, Giacosa aveva deciso di restaurare la sua casa ed era in mezzo ai lavori e ai muratori. Era l’11 aprile del 1900 quando il cavalier Bosso, proprietario della cartiera di Parella e suo vicino di casa, lo aveva invitato per la serata. Le due famiglie avevano passato qualche ora in compagnia. Poi, a sorpresa, venne portata l’ultima novità della tecnologia che avrebbe fissato nel tempo l’evento: il grafofono appunto. Esatta-mente come quando da ragazzi si “giocava” a registrare sulle audiocassette discussioni, feste o rumori per poi riascoltarle e riderci sopra su quanto le voci siano differenti da quelle che crediamo di emettere.

È sul piano più intimamente domestico e familiare che le voci presenti nel rullo danno uno scorcio di quella vita canavesana della famiglia borghese. Ascoltando la registrazione la scena è semplice: Giacosa arriva in compagnia della figlia Paola, mentre l’amico introduce la sorpresa della registrazione in corso e invita “Pin” – come è familiarmente chiamato – a parlare.

La prima parte dell’incisione è tutta in piemontese e si coglie l’assoluta improvvisazione e genuinità dello scrittore che, non sapendo d’essere registrato, racconta di avere la gola tutta piena di polvere di calce visto che è stato tutto il giorno con i muratori impegnati a ristrutturare la sua casa. E poi, sempre il drammaturgo, con la bella voce tonda e tonante, spiega che sarà soddisfatto solo quando i lavori saranno conclusi e quando la figlia Pierina andrà in sposa a Luigi Albertini (Gigi, nella registrazione), futuro direttore del “Corriere della Sera” e senatore del regno d’Italia. Nella seconda parte Giacosa – che a quel punto è consapevole della registrazione – parla in un italiano ricco di virtuosismi dialettali, festeggiando la novità dell’aprile del 1900: la corriera elettrica che collega Ivrea con Castellamonte e Cuorgnè e che passa proprio davanti a casa sua. Subito dopo Giacosa corregge con decisione qualcuno che forse sta parlando: “Oggi è l’undici aprile, nen undici marzo…!”.

E poi continua ringraziando Bosso per la bellissima serata trascorsa e si conclude la registrazione chiamando in causa il grafofono: “A l’é finì ël cilìnder…” esclama divertito il cavalier Bosso che si mette anche a fischiettare. Ciò che emerge dal brano è un passaggio di pura vita quotidiana registrato quasi per gioco. Nulla a che fare con le opere di fama mondiale.

La “voce”, donata dai Bosso alla Discoteca di Stato sotto forma di un cilindro di gomma inciso nella superficie di ceralacca, venne scoperta da un giornalista della Rai nel 1961 per il centenario della Unità d’Italia e riscoperta nel 2004 quando il 5 settembre fu riascoltata proprio nella casa che fu di Giuseppe Giacosa e conservata dal discendente dello scrittore e attuale proprietario della villa insieme alla moglie Elisa, l’avvocato Paolo Cattani. Il grafofono che immortalò la voce di Giuseppe Giacosa è acora esistente ed è di proprietà dei discendenti del cavalier Bosso.

Ma per chi volesse ascoltare la voce di Giuseppe Giacosa, si può fare sul popolare canale Youtube all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=ijpcyZAubao.