(Fabrizio Dassano)

Siamo in dirittura d’arrivo nella corsa al Natale! Quanti preparativi per essere tutti più buoni!

I toni si abbassano: sulla specifica richiesta delle “Sardine”, anche le forze politiche sembrano più buone.

Tutto è illuminato, eccetto il Borghetto perché storicamente era un quartiere segregato, prima che il re Carlo Alberto di Savoia decretasse la fine del ghetto, qui come in ogni luogo del regno di Sardegna. Insomma siamo tutti più buoni.

Quanto a me, a casa dovrei avere i tre figli e rispettive famiglie. Farò il cuoco e non mi dispiace affatto. Ammesso che si ricordino di venire. Li deluderò, come sempre, con i regali: saggi noiosissimi di storia che ho scritto in questo ultimo anno, come quello dello straordinario disegnatore di navi da guerra del giovane regno d’Italia, l’ingegner Carlo Vigna di San Giorgio Canavese. Storie che volentieri dimentichiamo per poi ricaderci con quella faccia da innocente rimbambito.

Storie come quelle che mi raccontava mio padre – uomo Fiat che non ha mai capito perché amassi Ivrea al punto da venirci a vivere – riferendomi dei cartelli “Vietato ai cani e agli italiani” che aveva visto scritto in Svizzera nel Natale di neanche non troppo tempo fa: una scritta all’ingresso dei bar che dovrebbe fare riflettere… a Natale, poi!

Intorno al 1954-55 lui era impiegato allo scavo dell’anello del Cern nella porzione svizzera (nelle fotografie è sempre in tuta bianca nell’assistenza alle macchine movimento terra) e mi spiegava che gli svizzeri non ci vedevano di buon occhio: non solo i calabresi, ma anche e soprattutto i piemontesi catapultati da grandi aziende.

Il primo referendum elvetico per cacciare gli italiani fu indetto nel giugno del 1970 e per un soffio non vinse: il politico che lo aveva proposto, con la giusta carica d’odio, era un editore dandy filonazi che rispondeva al nome di James Schwarzenbach.

Per l’occasione adottò uno slogan evergreen che, rivisto e corretto, va così di moda ancor oggi: “Prima gli Svizzeri!”. I quali, però, impegnati com’erano a produrre cioccolata e orologi, non potevano fare le infrastrutture degne di uno Stato moderno dopo essersi limitati nei decenni precedenti a raccogliere e custodire l’oro dei nazisti nell’ultima guerra.

La previsione politica di Schwarzenbach avrebbe limitato il numero di lavoratori stranieri (il 54% dei quali erano italiani) al 10% della popolazione svizzera, ed avrebbe comportato l’espulsione di 300mila stranieri nell’arco di quattro anni. La votazione segnò un record di affluenza alle urne (i votanti raggiunsero il 75%, percentuale eccezionale per la Svizzera).

La proposta venne respinta dal 54% dei votanti, e anche se nell’immediato (soprattutto a causa della crisi petrolifera del 1973), si assistette ad una riduzione dei permessi di lavoro disponibili, il loro numero ricominciò subito a salire negli anni successivi.

Diciamo dunque che finì tutto bene. D’altra parte, è Natale: siamo (dobbiamo essere) tutti più buoni.

Diciamo che possiamo (dobbiamo) concederci una “Tregua di Natale”, come nel 1914 sul fronte occidentale: per un giorno, i soldati degli schieramenti rivali smisero di spararsi e giocarono perfino al pallone nella terra di nessuno e si scambiarono quel poco che avevano in trincea. Poi, dai comandi, arrivò a quelle gente l’ordine perentorio di riprendere a tirarsi contro di artiglieria.

Forse era già Santo Stefano…