Due settimane fa in questo stesso spazio, chiedevamo a noi e a voi “da dove ricominciare?” dopo aver tentato di riassumere un quadro piuttosto devastante di brutte notizie con al centro (vittime o attori) tanti giovani in situazioni assai diverse tra loro. La domanda è tosta, la risposta non semplice.

Avevamo toccato un ambito delicato, quello della violenza nelle sue diverse forme, e assai complicato, che coinvolge un po’ tutti con gradi differenti di responsabilità. Aspettiamo si facciano avanti genitori e insegnanti… ma pure operatori professionali, amministratori pubblici, terzo settore… per tentare delle risposte, non accademiche ma pratiche.

Volendo sciogliere il ghiaccio, cerchiamo dapprima di guardare dentro al mondo dell’informazione e alle responsabilità dei media. Il collega Paolo Bustaffa sulle colonne del Sir, il servizio online di informazione religiosa, si chiedeva giorni fa: “Essere o fare notizia? La domanda ritorna mentre continua a svolgersi sui media una narrazione del male che coinvolge, colpisce e ferisce le nuove generazioni”.

Se da un lato è vero che il compito strettamente educativo non compete ai media, dall’altro è pur vero che l’etica professionale esige completezza. Il male, che c’è e di cui va data notizia, sembra essere l’unica cosa che merita di essere raccontata mentre il bene, che pure esiste, non trova spazio, è silenziato come fosse insignificante, come non ricadesse nella società senza segnarla. Durante l’estate molte cose belle sono accadute; quante di esse sono finite sui media? Forse il milione e mezzo di giovani che a Lisbona hanno partecipato alla GMG col Papa? No, se non qualche immagine con rapida didascalia. Pensiamo alle belle esperienze degli oratori estivi, dei giovani che hanno fatto esperienze di fraternità, di cammino e accoglienza. Dove si legge, si vede, si ascolta di tutto questo?

“L’attenzione dei media c’è stata sostanzialmente solo quando in quelle realtà – sostiene Bustaffa dal suo osservatorio privilegiato – si sono verificate disgrazie”. Dove, allora? “Sia a livello nazionale che sul territorio – suggerisce Bustaffa – e sono prevalentemente media d’ispirazione cristiana che traducono il motto di don Lorenzo Milani ‘I care’ in un percorso dove l’etica professionale non chiede di nascondere il male ma neppure di ignorare il bene”.

Ecco per noi una risposta su cui insistere e da cui sempre ricominciare. E voi da dove ricominciate?