(Fabrizio Dassano)

Il conflitto era appena terminato, anche se a Oriente divampava lo scontro tra bianchi e rossi nella Russia ex zarista e per contenere l’espansionismo bolscevico che aveva preso il posto di quello zarista numerosi “Freikorps” tedeschi, malgrado la fine della guerra, erano rimasti in Ucraina e in Lituania per fronteggiare i russi bolscevichi. Anche l’oriente italiano era in subbuglio: nel settembre del 1919 il poeta-soldato D’Annunzio, a capo di uno dei più grandi ammutinamenti militari del regio esercito italiano, occupava Fiume sull’Adriatico. Lo smembramento dell’impero Austro- Ungarico aveva portato ad una serie di lotte etnico-nazionaliste in tutto il cordone orientale dell’ex impero asburgico.

Con la tragedia della guerra, l’Occidente europeo era stato straziato anche dall’avvento della febbre spagnola. Definizione che fu data perché la Spagna, neutrale nel primo conflitto e quindi non soggetta alla censura della stampa vigente nei paesi belligeranti, fu la prima a riportare la notizia della pandemia, anche perché ne fu colpito il medesimo re Alfonso XIII. Negli ultimi giorni del 1917 la malattia serpeggia negli USA: centinaia di persone muoiono tra gennaio e febbraio del 1918 dopo aver sofferto di mal di testa, difficoltà respiratorie, tosse e febbre alta. Alcuni mesi dopo, lo stesso quadro clinico viene osservato in pazienti in Francia, Belgio e Germania.

A maggio, un assembramento durante una festa religiosa in Spagna causa lo scoppio dell’epidemia di questa misteriosa malattia. Si capì subito che gli assembramenti erano fonte di contagio. Se la prima ondata in Spagna arrivò proprio dopo le celebrazioni del patrono, il paziente zero è considerato dagli storici un cuoco di un centro di addestramento militare americano in Kansas. L’invio di truppe americane infette in Europa a combattere contro la Germania, fece il resto. Con 50 milioni di morti resta una delle epidemie più spaventose note all’umanità.

La forte presenza di soldati polacchi, ex prigionieri di guerra debilitati dell’impero Austro-Ungarico in Canavese era dovuta alla conversione da ex prigionieri di guerra austro-ungarici di nazionalità polacca a soldati della nuova armata polacca voluta da Pilsudski, futuro eroe dell’indipendenza polacca, e accettata dai governi occidentali. Formati in Italia tra cui alla Mandria di Chivasso, raggiungeranno Haller in Francia per schierarsi contro tedeschi e austriaci in nome della Polonia indipendente. Quando scoppia la guerra nel 1914, il generale Pilsudski prepara in segreto i quadri militari del futuro stato e con cinismo, si schiera coi suoi bersaglieri (strzelcy = tiratori) contro i russi. Due brigate polacche, comandate da Polacchi, con vessilli polacchi sono in prima linea sui Carpazi. Nel 1915 con l’Italia in guerra, la leva austriaca intanto raccoglie migliaia di altri giovani che vengono mandati sul fronte italiano e balcanico, prima come reparti mononazionali, poi sparpagliati in tutti i reggimenti per evitare rivolte e rivendicazioni nazionalistiche.

Sono le etnie minori dell’Impero (Sloveni, Croati, Bosniaci, Serbi, Cechi, Polacchi, Romeni, Italiani etc.) che ora vengono distribuite a pioggia in tutti i reggimenti per evitare rivolte. Alla fine del 1916, all’Asinara in un campo di prigionia italiano, ci sono 2000 polacchi. Il 4 aprile 1917 il Governo Italiano, nonostante l’opposizione dell’ambasciatore Russo ormai privo di poteri (il 15 marzo lo Zar aveva abdicato e in ottobre scoppia la rivoluzione), dichiara che fra gli obiettivi della guerra vi è la creazione di uno stato Polacco, (contrario agli interessi di Mosca). Gli esiliati e fuoriusciti Polacchi da tempo in Occidente premevano per la costituzione di un’armata polacca alleata. In Italia viene formata solo una compagnia che opera con la III Armata del Duca d’Aosta. La guerra sta volgendo al termine e la costituzione di tre reggimenti polacchi giunge alla vigilia
dell’armistizio.

D’ora in poi, fino a gennaio del 1919, in Italia si formeranno 10 reggimenti polacchi con oltre 35.000 uomini. Dopo alcuni mesi i polacchi vengono mandati in Francia e qui vestiti e riarmati. L’armata azzurra (dalla divisa francese di colore blu horizon) del comandante Haller è formata da 100.000 uomini e può ritornare nel rinato Stato Polacco, fermando l’Armata rossa alle porte di Varsavia nel 1920.
Tutto ciò avviene in piena pandemia e i soldati polacchi più debilitati pagheranno il prezzo più alto. In Italia, il primo allarme venne lanciato a Sossano (Vicenza) nel settembre del 1918, quando il capitano medico dirigente del Servizio sanitario del II gruppo reparti d’assalto invitò il sindaco a chiudere le scuole per una sospetta epidemia di tifo. Di lì a poco scattò l’emergenza. Allo scoppio dell’epidemia, il conflitto durava ormai da quattro anni: milioni di militari vivevano ammassati sui vari fronti, in trincee anguste con condizioni igieniche terribili favorendo la diffusione del virus. Il particolare contesto storico in cui si diffuse causò la decimazione della popolazione civile più di quanto non avessero fatto gli eventi bellici di per se stessi. A Ivrea nel dicembre 1918 sui 79 morti registrati 30 erano soldati polacchi provenienti dal campo d’addestramento della Mandria di Chivasso. Le autorità civili scoraggiavano gli assembramenti e i viaggi in ferrovia, qualcuno approfittava della situazione per pubblicizzare medicamenti contro l’influenza chiamata anche “grippe spagnuola”.

Il 1° novembre 1918 a Ivrea si commemoravano i defunti della guerra e della pandemia: “In questo giorno di pio anniversario rivolgiamo un pensiero ai nostri poveri morti: ai caduti vittime dell’infuriar del contagio, ai caduti vittime del ferro nemico”. A Ivrea la situazione dell’ospedale civile e degli ospedali militari ausiliari è drammatica: nel mese di dicembre 1918 si registrano 79 decessi tra soldati e civili italiani di cui 30 soldati polacchi. A gennaio 1919 la situazione a Ivrea peggiora: 95 soldati polacchi deceduti e 86 tra civili e militari italiani. A febbraio 43 polacchi e 23 italiani, a marzo, 28 polacchi e 32 italiani, sempre civili e militari. Nell’aprile 1919 il Consiglio comunale affronta il problema dell’ampliamento del cimitero perché le sepolture stanno raggiungendo i livelli del colera del 1867 e non c’è più posto. Il 12 giugno 1919 un settimanale locale dà il resoconto di una prova di normalità: la squadra di football del 4° Alpini di Ivrea batte “Armata Polacca” 8 a 0!

Nel campo di gioco della Piazza d’armi, a beneficio della locale Casa del soldato si svolge la partita davanti ad un “numeroso ed elegantissimo pubblico e personalità sportive della Città, il brigadiere generale Rho cav. Eraldo, comandante l’Armata Polacca della Mandria di Chivasso (…) ed il col. Toggia cav. Edoardo comandante il Deposito del 4° Alpini l’appassionato ed instancabile patrocinatore dello Sport nella nostra Città.” Alle 17:50 l’arbitro tenente Boccelli fischia l’inizio. Gli Alpini dimostrano subito una netta superiorità di gioco sui Polacchi a corto di allenamento e coesione. “Con costante allenamento la squadra polacca potrebbe ben figurare poiché i suoi uomini si sono dimostrati conoscitori del giuoco ed alcuni di quali, il centro forward, il centro halfback ed il back sinistro, hanno giuocato bene.” Al 23° primo goal alpino di Bolla, poi al 31°, punto segnato da Du Jardin su passaggio di Terragni. Poi dopo pochi minuti il goal di Genova. Primo tempo 3-0 per gli Alpini. Al 2° tempo continua l’offensiva italiana: ancora una palla rete di Bolla al 18°, Girodi segna al 25°. Du Jardin al 31° e ancora Bolla al 37° e Girodi all’ultimo minuto. A Ivrea la folla esulta, la febbre spagnola invece durerà ancora fino al dicembre del 1920.