(Filippo Ciantia)

Il silenzio immobile del mattino è spezzato dalla sirena dell’ambulanza. Un suono diventato abituale, parte della nostra vita. Un suono che si accompagna ad un senso di preoccupazione e paura, se non di angoscia: “Per chi suonerà questa sirena nel mattino, così presto…”. Dopo un po’ tornano il silenzio e il sonno a placare la mente e il cuore.

Poi, nel primo chiarore della giornata, i rintocchi delle campane invadono la calma del mattino. Ci dicono “Ave” e introducono il nuovo giorno col saluto più bello: “Rallegrati”, perché Dio ci ha fatti per la felicità. La prima parola di Dio a Maria, “Kaire”, dice che tempo è per me, da usare bene: c’è un compito da svolgere. Lo stesso saluto si ripete a mezzogiorno e alla sera, per ricordarci le parole dell’Angelo: la terra, il nostro lavoro, la nostra casa, gli ambienti di lavoro, sono abitati dal Mistero che si fa conoscere.

Anticamente, soprattutto in Oriente, le campane erano usate per indicare l’apertura dei mercati, segnalando l’inizio della vendita della carne e del pesce: non bisognava tardare per questi alimenti così delicati. Nel mondo cristiano, invece, quasi subito, si iniziò ad utilizzarle per scandire le ore, rendendo il tempo liturgia, celebrazione del disegno buono.
Si segnano le ore, cosicché il tempo sia ben misurato, senza l’usuale spreco o la pigra distrazione.

Di nuovo, nel pieno della giornata, risuona la sirena dell’ambulanza, che si avvicina velocemente, poi si fa lontana e pian piano scompare. Su quel mezzo, identificato dalla croce, qualcuno soffre e qualcuno se ne prende cura. Infatti,
“nessun uomo è un’isola completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto”.

Non possiamo fare a meno, almeno inizialmente e se rimaniamo sinceri e leali con noi stessi, di partecipare a qualsiasi dolore e difficoltà. Ci sentiamo su quell’ambulanza anche noi.

Allo stesso modo delle sirene, le campane accompagnano tutti i momenti della nostra vita, compresi i lutti. I loro gravi rintocchi a morto ci aiutano, nella loro lenta solennità, a non dimenticarci del passaggio più importante della vita di ogni persona.

“La morte di un qualsiasi uomo mi sminuisce
perché io sono parte dell’umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana: essa suona per te”
(John Donne)