All’ultimo Salone del libro sono arrivato in metropolitana al Lingotto Fiere insieme a tanti bambini che affollavano il mezzo con i loro insegnanti. Risalito in superficie ho visto il piazzalone con le code per entrare: tipo barriera autostradale sul fondo. Cercando di leggere la tipologia di ingresso a seconda del tipo di visitatore, mi accorgo che l’accesso stampa è tutto a sinistra della barriera, come appunto quando sei in autostrada e cerchi la corsia per pagare con le monetine, il bancomat mentre i fortunati possessori di telepass sfrecciano al tuo fianco. Nel mentre devi controllare che il semaforo sia sul verde.

La porta a me destinata è molto lontana e mano a mano che mi avvicino noto che è tutta transennata da una barriera blu che al suo interno ti costringe ad un percorso a “S”. Si, bisogna inoltrarsi a zig zag come a Gardaland, tanto per capirci, per almeno 800 metri. Ma perché, visto che non c’è nessuno in coda? Mi incammino in quel percorso serpentesco e a metà mi gira la testa; quelli che erano partiti con me e non hanno preso il serpente sono già addirittura entrati al salone. Eppure la porta è quella giusta.

Due addetti all’ingresso mi guardano incuriositi da lontanissimo, credo col binocolo. Ormai sono ubriaco per via dell’andatura: gira a destra, al fondo giri a sinistra e cammini a zig zag triplicando il percorso da fare: 2 chilometri e 400 metri secondo le mie stime e calcoli. Spero che il Salone del Libro meriti tutta questa faticaccia. Il sole picchia forte dopo giorni di pioggia infinita e temperature basse. Fa caldo e inizio a sudare arrancando in quel faticoso percorso perché non ho ancora fatto il cambio di stagione nell’armadio. Quando cambio direzione posso vedere il profilo del grande edificio del Lingotto oppure il traffico su Via Nizza.

Esausto arrivo al controllo del titolo d’accesso. Mentre lo cerco nelle tasche, una signora che aveva evitato il serpentone entra subito alla stessa porta dopo aver effettuato il percorso diritto, risparmiando due terzi delle energie che ho speso io. Vabbè, entro e subito quell’atmosfera da festa di manifestazione libraria ti coglie e dimentichi la cartina per orientarti tra i tanti stand. Torno indietro nella hall ma sono travolto da settemilacinquecento bambini, tutti con i cappellini gialli che entrano con i loro zainetti tattici.

Risalgo la corrente come un salmone nei fiumi scandinavi e riguadagno l’uscita trovando finalmente il banco che distribuisce le cartine. Sbaglio e prendo il programma degli eventi, torno indietro e prendo la piantina.

Gli stand che mi interessano hanno una lettera e due cifre: preso da dislessia, il J47, poco dopo aver chiuso la cartina, diventa J74 e mi perdo così per quasi tutta la giornata. Si salvano solo i numeri doppi: tipo H55 o M22.