(Filippo Ciantia)

Con mio figlio Matteo di due anni sulle ginocchia, accosciato, scrutavo dalla finestra lo spiazzo tra la chiesa e le nostre case. Ieri sera, prima che scendesse l’oscurità, dopo l’ultimo “giro” nelle corsie, per verificare le condizioni di alcuni pazienti critici, avevo constatato che la scorta militare aveva lasciato l’ospedale St. Joseph’s e la missione. Da settimane i ribelli minacciavano di attaccare il campo degli sfollati, circa tremila, presso il centro catechistico, a poche centinaia di metri degli alloggi dei medici. Era stata una notte insonne.
Aspettavamo il “loro arrivo”.

Improvvisamente, invece, si ode il suono della “bila”, il corno di gazzella che per la popolazione Acholi segnala l’allarme e invita alla battaglia. Appaiono alcune persone armate di machete, bastoni, zappe. Li riconosco: alla testa dei difensori vedo John Bongomin, un mite insegnante, direttore della scuola frequentata anche dalle mie figlie Maddalena e Monica, acquattate, con il resto della famiglia e degli amici, in corridoio, dove non ci sono finestre e il cui soffitto è stato rinforzato con lastre di metallo. Ecco altri volti noti di persone che hanno dovuto lasciare le loro case e rifugiarsi nella missione: Matthew, Santo. John Ongwen, tra le urla di guerra e l’agitare delle armi, raccoglie alcune pietre dalla cinta e, insieme ai pochi coraggiosi, scompare dalla mia vista.
Poi il crepitare delle armi. Li hanno ammazzati!

Invece, ecco di nuovo l’appello della bila e le urla di vittoria. I ribelli, visto il manipolo di avversari sopraggiungere di corsa, urlanti e minacciosi, si sono spaventati a morte. Hanno alzato i kalashnikov, mirato e sparato; li hanno mancati; sono fuggiti. Nella rovinosa fuga i 20 ribelli, intercettati dai militari, vengono sterminati.

Pochi uomini, maestri e contadini, hanno rischiato la vita per difendere la chiesa, i profughi, la mia famiglia, i medici e i loro cari! Era il 19 marzo 1988. Come dimenticarvi, guerrieri miti e coraggiosi?

Mercoledì scorso John Ongwen ha lasciato la “milizia” che è la vita. Ora sei nella dolce casa per cui l’uomo nasce, e ci chiedi il coraggio di non aver paura del sacrificio nel vivere. Come ci hai testimoniato, quella mattina in cui hai rischiato la vita per i tuoi fratelli, con la forza della fede, di due pietre e di pochi, grandi amici.