XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Come pecore in mezzo ai lupi

(Sr Serena e Sr Valentina, Monastero di Lugnacco)

Gli operai del Vangelo non sono proprio così affascinanti: come agnelli in mezzo ai lupi. E poi uno si stupisce che ce ne siano pochi!

La sproporzione tra la messe abbondante e il numero esiguo degli operai anche al tempo di Gesù ci dovrebbe forse confortare? Mal comune è davvero mezzo gaudio?
La colletta propria di questa domenica chiede al Padre, il quale ci chiama ad essere pienamente disponibili all’annunzio del Suo Regno, il coraggio apostolico e la libertà evangelica perché rendiamo presente in ogni ambiente di vita la Sua parola di amore e di pace.

L’identikit del discepolo trascende ogni nota caratteriale. Non è questione di indole: introverso, estroverso, pimpante, rilassato…ma parte con un mandato. “Ecco, io vi mando”. Lui manda noi, con benevolenza e in verità.

Non valiamo per le nostre doti agli occhi del Signore, i criteri sono altri. Il Signore guarda il cuore diceva il Signore a Samuele nel cercare il nuovo re d’Israele in 1Sam 16,7: «Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore».

Il mandato denota immediatamente una modalità particolare: “io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”. Ora, dal nostro punto di vista, in mezzo ai lupi si mandano altri lupi, o animali ancora più potenti, non più deboli. Mandare qualcuno a combattere senza armi pari potrebbe sembrare istigazione al suicidio, oppure… Oppure il Signore sta parlando in altro modo e ci chiede di seguirlo in una modalità nuova. È la modalità dell’Agnello, perdente secondo il mondo, ma sempre vittorioso alla destra del Padre. È la modalità consegnata ai santi, pensiamo al sogno dei nove anni di don Bosco, dove alcuni lupi divenivano agnelli. A san Francesco, a cui viene promesso poco prima dell’incontro con il lebbroso: “Gusterai ciò che ti dico, anche se l’ordine è capovolto”.

Il capovolgimento del modo di seguire e di annunciare il regno richiede coraggio, anche quando questo non ci appartiene naturalmente, anzi, proprio in virtù del fatto che non viene da noi. Coraggio e libertà sono ingredienti che chiediamo al Padrone della messe, ma al ritorno, mentre gasati vorremmo raccontare di come la missione abbia avuto successo e di quanto siamo stati bravi (anche i demoni si sottomettono A NOI nel tuo nome), ecco che il Figlio ci ridona l’ottica giusta: “rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Il successo senza Pasqua non è vero, la Resurrezione senza croce non esiste, rimaniamo agnelli nell’Agnello, figli nel Figlio, anche a missione conclusa. Il rallegrarci viene dal fatto che il nostro nome, proprio noi, siamo scritti sul palmo della mano del Padre dei cieli, la gioia dal riconoscere che nessuno può strapparci da quelle mani benedette. Questa è l’allegria più grande, per il Signore Gesù, per noi e per quanti incontriamo.

Lc 10,1-12.17-20 (Forma breve Lc 10,1-9)  In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi quelli che vi lavorano! Pregate dunque il signore della messe,
perché mandi chi lavori nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”»