La folla compunta e commossa che gremiva il Duomo lunedì per il funerale di Giovanni Torra, così come domenica sera per il rosario, era l’eloquente espressione della stima e dell’affetto che Giovanni si era guadagnato con la sua rettitudine, integrità morale, serietà professionale e relazionale, simpatia e disponibilità agli altri; e i numerosi sacerdoti concelebranti, i messaggi di apprezzamento e cordoglio dell’amico monsignor Bettazzi, di monsignor Farinella, del cardinal Bertone, le brevi ma sentite parole di monsignor Cerrato prima della recita del rosario, dimostravano la posizione di spicco che egli occupava nella Chiesa che è in Ivrea.

Posizione non dovuta a gesti eclatanti, ma a un servizio continuo, umile, autentico, ispirato a gratuità evangelica.

Padre Samuele ha parlato della sua fede e attenzione agli altri, don Giuseppe Sciavilla ha ricordato la sua partecipazione, ancora recente, alla Messa al Tempio, quando era già molto dolorante, ma con la luce e la gioia di Cristo negli occhi.

Appartenente a una delle più note famiglie della “vecchia Ivrea”, cresciuto nella zona di Sant’Antonio-via San Pietro Martire, con gli amici Garavet, Cavallera e altri era conosciuto per il buon umore e la voglia di fare scherzi.

Chi, fra i meno giovani, non ricorda i pesci d’aprile che tutta Ivrea attendeva ogni anno, e di cui poi si parlava per tutto il mese?

Ma i tempi degli scherzi passano, la vita ti affida nuove incombenze: per Giovanni il matrimonio, due figlie – Monica e Barbara –, quattro nipoti, una pronipote, il lavoro di fotografo: il tutto svolto sempre con profondo spirito cristiano e apparente buon umore, malgrado le batoste che la vita non gli ha certo risparmiato.

Poi le malattie, l’amputazione, le difficoltà di deambulazione e movimento, sofferenze accettate con grande dignità e spirito cristiano.

Andavo a trovarlo e lo trovavo serio, sempre intento a qualcosa, lettura, vecchie fotografie… mi parlava di religione, di problemi vari e spesso di suo padre, col suo alto esempio di coerenza morale arrivata talvolta fino all’eroismo.

Mi commuovevano questa fierezza e amore filiale!

Poi anch’io ho avuto problemi di deambulazione analoghi ai suoi e le visite si sono interrotte.

Ci siamo incontrati ancora nella cappella di Sant’Antonio, lui sempre al suo posto nel penultimo banco a sinistra.

La chiesina, di proprietà della famiglia Fornero, viene aperta solo in alcuni periodi dell’anno: alle funzioni siamo sempre più o meno le stesse persone, abitanti nella zona o anche più lontano, tutti attirati dal clima di spiritualità in amicizia che vi si respira.

Un’amicizia autentica, buona, genuina.

Giovanni ne era l’anima, il punto di riferimento, il “capo spirituale”.

Guidava la recita del rosario, leggeva le letture, dava gli annunci, indicava le lodi da cantare dopo la preghiera.

Ma il nostro canto lasciava molto a desiderare: una volta, al rosario del mese di maggio, cantammo così male che Giovanni, che aveva un ottimo orecchio musicale, per punizione non ci fece più cantare fino a fine mese.

E fu inutile implorarlo, fu irremovibile! Già, irremovibile!

Uomo tutto d’un pezzo, che non scende a compromessi e non si lascia corrompere: come suo padre.

Sì, Giovanni, pregheremo e canteremo ancora a Sant’Antonio e ti sentiremo presente, pregherai e canterai con noi da lassù: ma la nostra chiesina non sarà mai più la stessa senza di te seduto nel penultimo banco a sinistra…!

Carla Zanetti Occleppo

Redazione Web