Da quando sono tornato a vivere in campagna, lo ammetto, sto diventando un vecchio trombone: non sopporto più niente, in particolare i rumori di sottofondo.

Ci pensavo riflettendo sul 25 Aprile (caduto quest’anno di giovedì, ciò che renderà disponibile in edicola e per gli abbonati questo giornale il giorno successivo): non sulla festività in sé o sul suo significato, ma guardando i tediosissimi dibattiti tv in merito alla ricorrenza in questione e ai vari blateramenti di personaggi apparentemente usciti dal mondo dei cartoon. Sembra a volte che i famosi “discorsi da bar” si siano trasferiti direttamente in tv, causando probabilmente una diminuzione del fatturato degli esercizi di somministrazione e un aumento della frustrazione degli spettatori medi. Al punto che, piuttosto che la Tv, a volte vien voglia di “guardare la radio”, che anche da spenta ha comunque una intrinseca curiosità estetica e un silenzioso fascino.

La presenza di questo continuo bombardamento mediatico su qualsivoglia argomento richiama per contrappasso il concetto dell’assenza. Ma vediamo come viene definita. Sul torinesissimo Grande Dizionario della Lingua Italiana diretto dal compianto Giorgio Barberi Squarotti ed edito dalla Utet, il prologo sintetico della voce “Assenza” recita: “Lontananza di una persona (o di una cosa) dal luogo ove dovrebbe trovarsi (o si trova d’abitudine)”.

Poi la descrizione si articola dettagliatamente partendo dagli esempi letterari del Convivio di Dante Alighieri, poi del Villani, quindi di Boccaccio e via discorrendo fino allo scrittore e saggista Francesco Jovine, con il suo esempio letterario emblematico tratto da ”Le terre del Sacramento”: “I suoi sperperi, durante lunghe assenza in luoghi famosi per la dissolutezza dei costumi, erano stati materia di chiacchiere senza fine”. Dobbiamo poi tener conto che tra i molteplici casi di assenza ci sono poi quelle “strategiche”, ad esempio per non abbassare la media dei voti a scuola!

Giova senz’altro notare che il Gran Dizionario Utet avvisa che anticamente il vocabolo si scriveva anche “assènzia”. Ebbene siamo a pagina 758 e l’occhio cade di pochi millimetri sulla successiva prospiciente 759: alla stessa altezza, c’è proprio la voce “Assènzio”: “pianta erbacea perenne della famiglia delle Composite (Artemisia absinthium)”.

Da questa si ricava anche il famoso e ominimo liquore, che ci porta nella Parigi bohémienne di fine ‘800: il suo colore era il verde traslucido, e fu la musa ispiratrice di Van Gogh, Toulouse-Lautrec, degli impressionisti, dei poeti maledetti etc. Gli effetti del troppo liquore, provocavano l’oblio della mente. Forse, a piccole dosi, sarebbe un buon antidoto contro l’eccesso del rumore di sottofondo da chiacchiericcio televisivo…